mercoledì 22 aprile 2009

Da dove vengono le vostre zanzare?


Si dice che le zanzare facciano dei chilometri per un po’ di sangue. E’ vero. Per esempio quelle due che mi ronzano attorno ogni notte vengono dalla provincia di Nuoro. Da dove esattamente non saprei dirlo perché essendo oristanese non distinguo chiaramente la loro parlata. L’ultima conversazione che mi hanno costretto ad ascoltare mentre mi stavo addormentando più o meno è stata questa:
Prima zanzara: “Sa muzzere de su puzzone este asua un anzone de Zinnigas” (la moglie dell’uccello è su un agnello di Zinnigas)
Seconda zanzara: “Su fidzu de sa tzia de Sitzia este in mesu de sa midza” (il figlio della zia di Sitzia è nella calza)
Prima zanzara: “Issu este unu cozzone satzagone” (è ingordo)
Seconda zanzara: “Su manzano si satzada de fodzas de Atzara” (la mattina si riempie di foglie di Atzara)
Poi, prima di pungermi, la prima zanzara ha pronunciato queste testuali parole che non dimenticherò mai: “Tocca a Tzilleri!” (entriamo nel bar!)

martedì 14 aprile 2009

Rien de rien

Si chiamava Jeannot, come Jeannot Lapin, il coniglio delle fiabe di cui non sapevo proprio nulla ma con cui il mio di Jeannot non aveva sicuramente niente a che fare. Era un pazzo, secondo la terminologia del tempo, non da manicomio ma di quelli innocui che si lasciavano gironzolare liberamente per le strade. Si fermava sotto le finestre alle quali erano affacciate donne sorridenti, ma spesso affiancate da mariti, padri o fratelli ilari, e cantava con naturalezza una canzone di Edith Piaf o di Tino Rossi.

“Non, rien de rien
non, je ne regrette rien…”

La sua voce rauca e potente rotolava le erre della lingua francese come i torrenti trascinano i sassi nei loro ruvidi letti. Vibravano i cuori mentre lui ricominciava con Milord, La Boudeuse o qualche canzone romantica d'altri tempi. Qualche volta, da dietro una persiana, una voce femminile lo accompagnava, sulle prime un po’ timida, poi sempre più convinta e gioiosa. Cantavano la vita, l’amore, la malinconia, la sofferenza e la morte, a lungo, come i violini che ridono, sospirano e piangono solitari nei nostri cuori. E strappava l’applauso Jeannot, sempre. Poi faceva un inchino per ringraziare e per raccogliere le monetine che ben volentieri gli lanciavano. Allora lo raggiungevo in mezzo alla via e lo aiutavo a recuperare le monete che rimbalzavano fin sotto le macchine o si nascondevano tra due lastre della strada. Poi lo vedevo allontanarsi, sparire alla prima curva e lo sentivo riproporre poco più in là, sotto qualche finestra e gli occhi incantati di altre signore e signorine, le sue appassionate serenate. Ma sempre s’avvicinavano i mariti, i padri e i fratelli con dei sorrisi che non conoscevano la pietà.