giovedì 31 agosto 2017

Le parole bagassa e bagascia non sono offensive per le donne

Vi è mai capitato di credere di aver fatto la gaffe della vostra vita lasciandovi sfuggire, nel bel mezzo di una brillante conversazione, una parola volgare e degna della feccia della società mentre invece l’avevate involontariamente arricchita con un termine ricercato? A me sì, e precisamente con la parola bagassa, largamente usata da noi in Sardegna nel senso di prostituta. Per scrupolo sono andato in rete e ho fatto delle ricerche. Stando alla definizione della Treccani, e contrariamente a quanto credevo, questo vocabolo non è assolutamente offensivo nei confronti delle donne: “s. f. (anche bagasso s. m.) [dal fr. bagasse, che è dallo spagn. bagazo, der. del lat. baca «bacca»]. – Residuo della macinazione e spremitura della canna da zucchero (dopo l’estrazione del succo), usato come combustibile nello zuccherificio stesso, o anche per preparare fibre cellulosiche.” Ecco, l'avevo scampata bella...

Bagassa

Bagassosi”, insiste la Treccani, non si riferisce, come si potrebbe credere, a una patologia contratta andando a donne di basso rango, insomma a prostitute, bensì a una “malattia professionale, appartenente al gruppo delle pneumoconiosi, prodotta da inalazione di polveri di bagassa.” Insomma, mi era andata di lusso.
Volendo approfondire la questione, mi spinsi a indagare sulla parola bagascia che mi risulta di uso comune anche in continente. Il dizionario etimologico (www.etimo.it) fa risalire il termine al provenzale baguassa e, successivamente, all’antico francese bagasse, il cui significato era fantesca, in pratica una domestica. Oggi si direbbe una colf. Il dizionario fornisce altre possibili derivazioni. La parola proverrebbe dal celto cimbrico baches, col significato di femminuccia, fantesca o dall’arabo bagî, meretrice. Solo in quest’ultimo caso il significato è proprio quello di prostituta.

Domestica

Così, se vogliamo brillare in società, potremo nobilitare i nostri discorsi con queste due parole ed essendo possibili diversi etimi, immagino che, in un paese democratico come il nostro, siamo liberi di scegliere quello che vogliamo. Potremo quindi dare alla frase “ieri, ho assunto una bagascia” il significato di “ieri, ho assunto una domestica”, mentre con le frasi  “tua moglie è una gran bagascia” e “sei un figlio di bagascia” potremo intendere che la moglie del nostro interlocutore è una donna di servizio e che lui ha delle modeste origini.
Senza offese, ovviamente…

lunedì 3 novembre 2014

Mettetevi per un attimo nei panni di quel francese che ha appena comprato casa. È un bel appartamento luminoso al terzo piano con vista sul parco. La camera matrimoniale è spaziosa, quella del figlio in arrivo pure, la cucina è come Dio comanda, il bagno è bello grande e non gli manca proprio nulla: la vasca idromassaggi, il lavabo, il water, il… CHE CAVOLO CI FA QUEL COSO NEL MIO BAGNO?
Quel coso sarebbe il bidet. Per poco non vi è venuto un infarto, insomma non a voi: al francese nei panni del quale vi siete infilati.
- Pronto! Cap Canaveral? Qui abbiamo un bloblema!
- Qui Cap Canaveral,! Quale bloblema?
- Toglietemi questo bidet dal mio bagno! Subito, altrimenti…
- Mi dispiace: non si può!
- Come sarebbe a dire che non si può?
- Non è possibile togliere il bidet senza rifare il bagno da zero. Le consigliamo di camuffarlo facendolo sembrare qualcos'altro. Non le mancheranno le idee.
Purtroppo il nostro eroe è a corto d'idee: tocca quindi a noi dargli una mano.
Ecco il mio contributo:
1) sistemare un trampolino davanti al bidet trasformandolo in tal modo in una piscina nella quale il loro figlio farà dei bei tuffi.
2) riempirlo di terra fino all'orlo facendolo diventare di colpo una fioriera.
3) sistemare sopra il bidet un tavolo con tovaglia abbondante su cui disporre dei vasi o dei libri.
Bene, a questo punto aspetto le vostre proposte.

martedì 18 febbraio 2014

Se mi dovessero chiedere qual è la più grande figuraccia della mia vita direi che fu quella volta che andai al rettorato con mia nonna.
Non c'era ragione alcuna che potesse spiegare perché un diciottenne sveglio e intelligente come me si dovesse presentare, un nuvoloso pomeriggio di novembre, con la propria nonna al Rettore dell'Università alla quale si era appena iscritto. Avendo conseguito la maturità in Belgio, per potere frequentare un'università italiana dovevo risolvere un problema di equipollenza dei diplomi. In teoria, sarei potuto andare da solo a sbrigare questa faccenda, ma con una famiglia come la mia questa evenienza rimaneva, appunto, pura teoria. I figli non sono mai grandi abbastanza: li si deve accompagnare dal medico, a scuola, all'altare, e al rettorato, ovviamente. E siccome i miei erano ammalati, l'incombenza spettava a mia nonna.

Nonna Teresa era solita indossare, estate come inverno, il costume tradizionale del nostro paese, quello delle vecchie cartoline e del ballo in piazza di un tempo, con corpettuantalenavestecamisa e lionzu.

Quando quella sera entrammo nella vasta hall del rettotato, il via vai e le discussioni cessarono istantaneamente: tutti gli sguardi furono per noi.
All'ingresso, un usciere sorridente.
"Attraversate la hall e salite le scale dietro quella colonna!" ci spiegò. "Al piano chiedete all'usciere!"

L'attraversamento della hall fu un calvario: la folla aveva formato, sotto un enorme lampadario acceso, due file tra le quali procedevamo. Finalmente le scale! Dio non voglia che ci accompagnino fin lassù! Non lo fecero, ma finché rimanevamo in vista, gli occhi non si schiodavano da noi. Quando sparimmo nelle scale, a giudicare dal rumore, ognuno tornò alle proprie occupazioni: controllare le graduatorie e l'orario d'apertura della segreteria, chiedere informazioni, andare a destra e a sinistra.

Al piano superiore, un altro usciere ci indicò la sala dove aspettare che il Rettore ci chiamasse.
Dopo una buona mezz'ora, il Rettore aprì la porta del suo ufficio e ci invitò a entrare.
Era una stanza grande, con arredamento antico, un bel lampadario liberty e una sola finestra che dava su una di quelle viuzze scure di Castello che piacciono tanto ai turisti.
"Mi dica, Signora!"
"Allora, mio nipote, qui presente, è dovuto venire con me perché i genitori hanno una specie d'influenza."
"Sì, ma a che cosa devo la sua venuta. Mi spieghi!"
"Allora, è a causa del baccalaureato di mio nipote..."
"A causa del?"

A questo punto successe una cosa che in teoria mi avrebbe dovuto salvare la vita: un black out e un corale Ooooooooooooooh! proveniente dalla hall! Il rettore e la nonna furono inghiottiti dal buio, così come il rossore del mio viso. Grazie Dio, sei grande! 
Mia nonna tirò allora da una tasca una candela, l'accese con un fiammifero di legno, e la piantò in un posacenere ricordo di una romantica vacanza a Venezia.
"Del baccalaureato", ripetè.
Poi tornò la luce, e con la luce il mio rossore.
Dalla hall: Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah!

sabato 26 gennaio 2013

Murigal, il destino degli Inca

Il re Yucanpa sta morendo. Al suo capezzale, il figlio Murigal.
“Figlio mio, tuo padre è arrivato al termine della sua vita. Ascolta le sue ultime parole!”
“Sì, padre…”
“Il nostro popolo è in pericolo. La corte si è trasferita qui, nella città di Machu Picchu, allo scopo di sfuggire all’invasore spagnolo ma anche per un’altra ragione di somma importanza. Il crudele nemico, non pago di soggiogare la nostra gente, privandola della libertà e infliggendole delle tasse insopportabili, sta sterminando la famiglia reale nell’esecrabile intento di assicurare il proprio dominio e di lasciare per sempre gli Inca senza guida. Hanno versato il sangue dei miei fratelli, delle mie sorelle, dei loro figli, dei figli dei loro figli. Perisce chiunque sia sospettato di appartenere alla nostra stirpe. Ben presto, temo, del nostro lignaggio rimarremo soltanto noi due. Sei il mio unico erede, Murigal, e sei senza discendenza. Tuo padre è circondato da sudditi fedeli, O figlio mio, ma anche da cupidi cortigiani pronti a vendersi al nemico. La tua vita è in pericolo. Dovrai difenderla, proteggerla a ogni costo, ma è altrettanto vitale che tu abbia degli eredi tra cui uno possa un giorno ascendere al trono. Più numerosi saranno e più probabilità statistiche avrà la nostra famiglia di sopravvivere. Ho fatto arrivare novecento vergini da fecondare dalla capitale. Fecondale tutte e il popolo Inca sarà salvo.”
“Ma…”
“Sì, lo so che sei gay. Anch’io sono gay. Mio padre era gay. Il padre di mio padre era gay e, prima di lui, suo padre e il padre di suo padre. Ma tu devi avere dei figli. Per fecondare la donna che ti ha dato la luce, le ho imposto di indossare una maschera con i tratti dell’uomo che amavo e con lui ho immaginato di giacere. Fai come me, Murigal. Sappi che, perché accettino la maschera, devi fare un regalo alle vergini, le quali non saranno disponibili alla copula che se l’avranno indossata per almeno cinque minuti. Ricordati che dopo dieci minuti la maschera scade e svanisce. Il sistema metterà a tua disposizione tutte le maschere di cui hai bisogno e potrai usare tutte quelle che vuoi, ma dovrai ogni volta andare a prenderle fuori dalla stanza delle donne. Ti conviene dunque determinare il numero ideale di maschere da consegnare per non farle scadere e copulare il più velocemente possibile. Non perdere d’occhio le informazioni a video in alto e a destra dello schermo e stai attento ai cortigiani che faranno il possibile per impedirti di portare a termine la tua missione.”

Murigal entra nella stanza delle giovani donne. Sono disposte in cento file di nove. Offre un anello a quelle della prima fila. Poi tende a ognuna una maschera da uomo che aiuta a indossare annodando dietro la nuca i due legacci laterali. Anziché cominciare a copulare Murigal esce dalla stanza. Chiude la porta a chiave. Nel frattempo, il cortigiano Rottaca entra da una finestra, offre una collana a una delle vergini mascherate che acconsente a togliersi la maschera. L’operazione non è facile perché bisogna disfare il nodo fatto poco prima dal re. Poi passa alla seconda, le offre la collana e l’aiuta a togliersi la maschera. Non c’è più tempo: il re degli Inca apre la porta. Rottaca si nasconde dietro una colonna. Il re indossa ora una canottiera fucsia e dei collant neri. In piedi, feconda una vergine mascherata. Si avvicina alla seconda, la feconda e passa alla terza fecondando pure questa. A misura che le donne sono fecondate diventano verdi, viene loro il pancione, e si accodano alle altre donne per formare l’ultima fila. Ora si accorge che due vergini della prima fila non portano più la maschera. Esce dalla stanza. Rottaca esce dal suo nascondiglio, offre una collana a una vergine e l’aiuta a togliersi la maschera. Il re torna con due anelli e due maschere. Stesso procedimento: regala l’anello e fa indossare la maschera alle due vergini. Feconda la quarta vergine. Si accorge che manca una maschera. Esce. Rottaca ne approfitta per fare il suo regalo e togliere un’altra maschera. Entra il re, regala l’anello e fa mettere la maschera. Feconda la quinta vergine, poi la sesta. Si accorge che non potrà mantenere un ritmo accettabile se non ha almeno un margine di quattro o cinque vergini che indossino la maschera. Esce. Rottaca regala la sua collana e fa togliere una maschera. Murigal torna con dieci anelli e dieci maschere. Si rende conto che nella prima fila mancano ancora due maschere. Distribuisce due anelli e due maschere alle due donne in prima fila e il resto alla seconda fila. Feconda la settima vergine. Decide di arrivare fino a dieci e di prendere il premio. Feconda quindi l’ottava, la nona e la decima vergine a mano a mano sono pronte.
Dieci donne verdi col pancione: entra la madre del re con, in mano, una scodella.
“Ti ho preparato lo zabaione”, dice porgendo la scodella al figlio. “Ora devi affrontare il secondo livello con un numero doppio di femmine da ingravidare.”

Le regole del secondo livello sono identiche a quelle del primo, solo che, per essere pronte alla copula, le vergini devono indossare la maschera per soli otto minuti, oltrepassati i quali la maschera svanisce e il re dovrà di nuovo regalare un anello e legare la maschera. Dovrà quindi agire più velocemente e distribuire ogni volta un numero minore di maschere. Come per il livello precedente, Murigal entra con delle maschere, copula alcune vergini, esce. Rottaca offre delle collane, toglie delle maschere e si nasconde. Il re torna con anelli e maschere, le fa indossare, copula, esce…

Finito il secondo livello, il re ha diritto a un altro zabaione e passa al terzo livello con quaranta vergini da ingravidare: stesse regole il ma gioco è ancora più veloce. Il quarto livello è velocissimo. Alla fine del quarto livello, il re ha diritto a una razione doppia di zabaione, ma Rottaca ha ora un aiutante. Il quinto livello, sessanta donne da ingravidare, è per giocatori esperti. Gli aiutanti sono ora due, il tempo di attesa per la preparazione delle vergini è di quattro minuti. Nella fretta capita che il re sbagli e, invece di copulare una vergine, monti inavvertitamente uno degli aiutanti o lo stesso Rottaca quando tardi a nascondersi. I livelli si fanno sempre più difficoltosi e veloci. Al numero crescente degli aiutanti corrisponde un tempo di preparazione più esiguo. A complicare il gioco, il numero maggiore di donne da ingravidare e delle copule necessarie: si passa progressivamente da una copula nel primo livello a cinque nel decimo.

Alla fine del gioco abbiamo novecento donne verdi col pancione disposte in cento file di nove, il cortigiano Rottaca e i suoi quindici aiutanti in catene. Un uomo raggiunge lentamente il centro della scena reggendosi su un bastone. È il re Murigal. È molto dimagrito, ha le borse sotto gli occhi, la pelle che pende sotto il mento, il viso solcato dalle rughe. Non ha più capelli. È vecchio. Dietro di lui, la madre con un’enorme scodella di zabaione. Il re affonda la mano nelle parti pruriginose e si gratta vigorosamente. Dice:
“ Presto sarò padre. Le novecento madri si metteranno in viaggio con i miei figli in braccio. Percorreranno dei sentieri impervi, delle discese ripide, attraverseranno deserti, steppe, oceani. Qualcuna cadrà in un burrone, un’altra affogherà nelle acque mefitiche di uno stagno, altre saranno trucidate dall’abietto spagnolo, ma molte faranno ritorno nelle loro case. Cresceranno con amore il futuro re degli Inca. Lo proteggeranno al prezzo della loro stessa vita. Lo cureranno delle sue malattie, lo nutriranno, gli daranno il ciuccio. Ma uno soltanto occuperà il mio posto e regnerà. Chi di loro porterà questa corona? Avrà il mio aspetto? Guarderà la vita con i miei occhi? Amerà le cose che amo io? Bacerà con le mie morbide labbra? Gli piacerà la salsiccia? L’esistenza è un mistero, ma di una cosa sono sicuro: il popolo Inca ha ancora un futuro. Niente e nessuno potrà mai impedirci di prendere per mano il nostro destino.”

mercoledì 7 novembre 2012

Voto contrario

Sette ottobre 1961, seduta plenaria del Senato. Si vota per l’approvazione del progetto di legge presentato dall’on. Martini.
-           - 
-  I favorevoli alzino la mano. 235 su 235. L’unanimità. Facciamo comunque la controprova: i contrari alzino la mano. Uno.   Scusi senatore, ma lei prima ha votato a favole della proposta di legge, come può votare contro adesso?
-       Ho l’artrosi…

mercoledì 17 ottobre 2012

Caldo, caldo, caldo


Sulla carta meteorologica dell’Europa d’estate il caldo prende la forma di un’enorme A.  Fa caldo, caldissimo dappertutto. È la A di Afa, la A di Afaghanistan. Sono giornate roventi da cui non c’è scampo. Un po’ si salvano quelli che a casa hanno l’aria condizionata, ma gli altri… E si sta lì a aspettare che la tortura finisca. Si accende la TV ed eccoci tutti ad sperare nelle previsioni meteorologiche. Annunciano una settimana di tregua tra due ondate di calore. A cominciare dal nord, precisano. Ma per noi a Oristano continua a fare caldo e di quella tregua non ce ne accorgiamo proprio. Poi annunciano la pioggia con abbassamento delle temperature. Ovviamente a cominciare dal nord. A Oristano neanche una goccia, e fa caldo come a luglio. È una sofferenza continua da inizio giugno fino ai primi di ottobre, quando uno, sentendo un non so che di cambiato nell’aria si concede uno speranzoso: “Fa meno caldo o sbaglio?”. Sbagli, amico mio, sbagli, anche se sulla carta della Sardegna questa volta i meteorologi ci hanno messo una gigantesca B.
B come Basca.