giovedì 3 luglio 2008

Storia di una piccola casa editrice


E’ una storia che comincia un’estate calda di venti anni fa sul bastione di San Remy a Cagliari. Si tratta in pratica di due rampate di scale che s’inerpicano simmetricamente fino ad un piazzale ricoperto di lastre bianche sul quale battono distrattamente il tacco i passeggiatori, si baciano teneramente gli innamorati ed si espongono le merci più strane in occasione del tanto atteso mercato delle pulci della domenica. Comincia quando lo sguardo di mio fratello cadde su alcune riviste degli anni trenta intitolate Mediterranea. Mio fratello che abita tuttora in Corsica era venuto in Sardegna per trascorrere qualche giorno di vacanza in mia compagnia e magari visitare dei posti che ancora non conosceva, come Cagliari appunto. Le riviste, pubblicate in Sardegna, presentavano degli articoli di tutti i tipi ma tutti riguardanti l’area del Mediterraneo: c’erano degli studi sull’industria e l’agricoltura della nostra isola, dei racconti o delle poesie per lo più sarde, delle recensioni di libri sulla Sardegna ma anche, qua e là, delle incursioni in Sicilia e in Corsica. In quest’ultimo caso si trattava di poca roba, ma quanto preziosa, come un vecchio vocero o un detto che nessuno ricordava più. Insomma c’era di che continuare a sfogliare. Lo fece senza troppi complimenti e senza curarsi eccessivamente dell’espressione un po’ scocciata del venditore.
“Le prendo tutte!” decise.
“Perché hai comprato tutte queste riviste?” gli chiesi.
“In queste riviste parlano dei mazzeri”, mi spiegò…
“Ah!” dissi io senza aver capito un niente di niente.
Vocero, mazzeri erano dei termini che non conoscevo allora ma che per un lungo periodo sono diventati i miei compagni di viaggio. Il vocero è il canto funebre delle prefiche corse mentre il mazzero è in pratica una sorta di stregone delle tradizioni popolari della Corsica. Da allora ho arricchito il mio vocabolarietto di molti altri termini che girano intorno alle superstizioni e al mondo della magia in genere. Bene, non penserete che il vostro caro Lino a tempo perso si metta a leggere le carte alle vedove del quartiere? Intendo dire che a mano a mano mi sono creato una specie di specializzazione in tradizioni della Corsica.
In realtà, quello che mio fratello, che si chiama Salvatore, aveva preso per un articolo sul fenomeno del mazzerismo era un racconto, e che racconto! L’autrice era una certa Edith Southwell, di origine inglese. Strano, un’inglese che scrive della Corsica, in una rivista italiana. Perché non in Corsica? Non c’erano forse delle riviste in Corsica nelle quali scrivere in tutta libertà? “Guarda qui! C’è un altro racconto di Southwell! Ce n’è un altro in questo numero!”
E qui abbiamo cominciato a ricamare, a imbastire sogni e a contare le stelle. Io sono arrivato a cento milione di miliardi più una, battendo di stretta misura Salvatore. “Te l’immagini se facciamo conoscere queste storie in Corsica? Devi sapere una cosa: in Corsica si parla molto del mazzerismo tra gli studiosi di cose corse. Noi ci ritroviamo in mano delle storie degli anni trenta che di là mai nessuno ha letto!”
Quanto si sbagliava Salvatore! Quelle non erano storie degli anni trenta. Edith Southwell era un etnologo che aveva fatto il suo lavoro con coscienza. Aveva percorso la Corsica in lungo e in largo alla ricerca di tutte le espressioni della cultura dell’ île de Beauté raccogliendo racconti, poesie, voceri, proverbi, detti, canti vari e descrizioni del vivere del suo tempo e del passato. Spesso le persone a cui si rivolgeva erano degli anziani. Secondo quanto dice la stessa Southwell molti testi, che ripetevano di memoria, li avevano a loro volta sentiti quando erano piccoli declamati o cantati da anziani, il che li situava all’incirca un secolo addietro, qualcosa come il 1830. Avevamo sì delle storie degli anni trenta, ma di almeno un secolo prima!”
“Scusa, ma perché invece di fare vedere queste storie agli studiosi non le pubblichi?”
“Vuoi dire che dovrei diventare editore?”
“E che ci vuole?”
“E queste storie me le traduci tu in francese?”
“E’ scontato…”
In quel periodo non avevo il PC quindi il lavoro andava fatto a mano, mannaggia la pupazza! Quanto ho appreso però! Prima di tutto che questi racconti erano di una bellezza unica. Sapevate che la curiosità è donna? Quelli che non lo sapevano ora lo sanno. Bene, sono andato a curiosare in non so più quale archivio, credo di ricordare che fossero les Archives Départementales de la Haute Corse a un tiro di schioppo da casa dei miei genitori o più semplicemente nella bibliothèque communale di Bastia, a un tiro di patada lussurgese. E cosa ho scoperto? Ho scoperto che la Edith Southwell Colucci era tra le più belle donne che potessero passeggiare sulla Place Saint-Nicolas. Erano belli i suoi racconti ed era bella lei. Ma che c’entra Colucci? Beh, sì, era la moglie del celebre pittore toscano Guido Colucci. Il padre di Edith era un commerciante di cedri che possedeva pure una nave. Si innamorò ad un punto tale della Corsica che vi comprò casa e vi si stabilì. La figlia prese da lui la passione per l’isola coltivando il suo amore per le tradizioni popolari e per la scrittura, che c’interessa di più. Tra un racconto, una puntata agli archivi e un giretto in biblioteca cominciava a risorgere dal passato una grande personalità. Con forza però, perché le sue pagine sono tra le più belle che io abbia mai letto. Ho scoperto che Edith Southwell era una donna ammirata, amata e poi dimenticata. Ma com’era possibile? Come è potuto accadere che una donna così potesse finire nell’anonimato più assoluto? Nel mio vocabolarietto si affacciò una nuova parola: irredentismo. Gli irredentisti erano dei corsi che consideravano la Corsica come territorio italiano e appoggiavano le velleità espansionistiche del fascismo. Questo poteva spiegare perché la Southwell avesse preferito essere pubblicata in una rivista sarda: gli irredentisti erano probabilmente più rigorosi degli stessi italiani sotto il regime fascista. Si trattava solo di racconti mi direte. E’ vero ma a quei tempi, specie per le belle passeggiatrici inglesi, bisognava prendere posizione e se non eri per eri contro.
La traduzione fu portata a termine. Il risultato fu un libro di – aspettate un attimo che guardo – 174 pagine. In copertina la silhouette scura di due alberi probabilmente secchi, due pipistrelli svolazzanti e un titolo: “L’enfant ensorcelé”, il bimbo stregato. Dimenticavo: da un ramo dell’albero di destra pende tristemente una malmignatta, dalla puntura mortale a quanto pare. Sotto, la scritta Editions Mediterranea, senza accenti sulle e. Eravamo nati. Come casa editrice, dico. Salto i dettagli di come siamo arrivati al prodotto finito. In sintesi: ci siamo occupati della mise en page (lo dico in francese perché nonostante sia il mio mestiere tradurre non vorrei fare una gaffe) del testo, dell’immagine e della copertina e abbiamo consegnato il tutto a una stamperia locale. Non mi chiedete il nome del direttore, non lo ricordo proprio. So solo che sorrideva spesso e che ci aveva augurato un bocca al lupo enorme.
Distribuzione. Beh, abbiamo consegnato personalmente i nostri libri in quasi tutte le librerie di Bastia e dei grossi centri della Corsica, compresi Corté e Ajaccio. Non ci crederete ma abbiamo venduto tutti i libri ed erano parecchi. Ci fu addirittura una ristampa. Sfoglio il libro fino a pagina 5 e vedo che sotto il titolo è precisato che la traduzione è mia. Questo ve lo dico così, con il sorriso largo da mangiatore di angurie.
Tutto qui? E no che non finisce qui. Fruga qui, fruga là, mi è toccato tradurre altri racconti della Southwell, sempre dall’italiano. Ho sotto gli occhi la sua bibliografia completa che conta venti titoli che purtroppo abbiamo proposto ai nostri lettori corsi solo in parte. Ho detto qualche riga fa che la Southwell era tornata dal passato grazie a noi, a due figli di emigrati sardi che quando sorridono sembra che la testa gli si stacchi dal collo. Le Editions Mediterranea cominciarono a farsi conoscere e si passò presto a pubblicare altri nomi, altri generi. Ma i guadagni non bastavano a coprire le spese. Il tempo passava e anche un po’ l’entusiasmo. Alla lunga passò del tutto. La casa editrice chiuse i battenti dopo una decina d’anni circa d’attività.
Io ho smesso di contare le stelle, mio fratello pure. Ma credetemi: tra tutte le storie che ho letto, che ho tradotto e che ho scritto questa è la più bella.