Avessi detto "moscone", avrei capito, ma non l'ho detto, e se l'ho detto non me lo ricordo.
mercoledì 9 giugno 2010
martedì 1 giugno 2010
Randagi
Dà un’occhiata attraverso le stecche della persiana chiusa. La strada sembra tranquilla. Nessun’ombra minacciosa, nessun movimento furtivo, nessun rumore sospetto. Apre prudentemente la porta tenendo lo sguardo fisso nella via. Apparente calma piatta anche da questo lato. Un’occhiata ricapitolativa al contenuto della busta di plastica. C’è tutto: campioni d’analisi, salsicce, zollette di zucchero. Chiude dietro di sé la porta a quadruplice mandata, fa un respiro profondo e si lancia nella perigliosa avventura. Non è per niente facile procedere appoggiando parte del proprio peso sul suo nuovo bastone e nel contempo guardare davanti stando attento al sopraggiungere dell’eventuale pericolo. Come se ciò non bastasse deve pure badare a non schiacciare quelle decine di cacche di cani disseminate lungo il suo percorso. Più che un percorso l’attende un calvario.
Eccone uno! Un cane, razza improbabile, media dimensione, che stava segnando il suo territorio sull’altro versante della via. Si volta e attraversa lentamente. L’uomo non reagisce. Mai reagire in questi casi: il cane potrebbe abbaiare e allertare i suoi compari. L’animale gli taglia la strada a un metro di distanza poi si dilegua in un vicolo buio. Il contenuto della busta non contribuisce a migliorare la sua situazione in pieno territorio nemico: il campione di analisi d’orine il cui odore quelle bestie riescono a percepire a chilometri di distanza, le zollette di zucchero e le salsicce, da utilizzare nei casi disperati per distrarre momentaneamente quelle belve. Affrontarli col solo bastone è impossibile. Non solo quelli sopportano il dolore dei colpi ma sono capaci di addentarlo e portarselo via come un trofeo di guerra. Ne sono capaci eccome!
Due bastardi all’angolo di via Verdi. Sembrano aspettarlo. I Bravi e don Abbondio. Gioco di sguardi. Fisso negli occhi senza abbassare lo sguardo fosse solo per un attimo, anche se ogni volta funziona sempre meno. Non s’avvicinano, ma non s’allontanano neppure. Uno dei due, il più bastardo sicuramente, ringhia. L’altro si apposta dietro di lui e comincia a mostrare i denti a sua volta. Finché non abbaiano e stanno fermi va bene. L’importante è che non abbaino. Analizzare razionalmente il campo di battaglia e decidere al momento se procedere col lancio di salsicce per tenerli buoni. Mannaggia, quando serve, il cervello, si blocca sempre. Vabbè, vediamo che succede questa volta. Lancio di salsicce il più lontano possibile in via Verdi. I due pirati non si voltano neppure a vedere dove si spiaccicano quelle delizie: altri tre cani, più grossi di loro, di razza ancora più indefinita, sbucano da un portone e ne fanno un solo boccone. Ora sono in cinque e la strada è lunga ancora. Poca gente in giro, come al solito.
Sette, dieci, quindici, forse venti cani da parte e d’altra, a formare, è il caso di dirlo, due ringhiere minacciose. Finalmente, in fondo al corridoio, come un miraggio, il Centro Analisi. Davanti, a un metro dall’ingresso, un ostacolo insormontabile: un mastino napoletano bavoso e dal fiato mefitico. E’ la resa dei conti. Apre la busta, lascia cadere quel che gli resta di salsicce e tutte le zollette di zucchero. Nessun risultato. Niente li può distrarre. Quel che vogliono è tutto rinchiuso nel contenitore sterile delle orine. Non si dica che hanno attraversato il loro territorio impunemente.
E poi l’uomo fa la cosa più assurda che potesse fare in quel momento. Apre il contenitore delle orine e lascia che il loro odore si diffonda nell’aria, che raggiunga le narici frementi dei cani. Ora si china e versa tutto il liquido sul marciapiede. I cani, rompendo i ranghi, fanno immediatamente cerchio intorno a quella macchia di umidità come per difenderla. Le espressioni si fanno più rilassate: lui non interessa più.
“Dov’è il bagno?” chiede entrando nel Centro Analisi mediche.
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