Il Black Hawk aveva gettato l’àncora in una piccola insenatura dell’Isla Caiman come in attesa dell’ennesima nave da rapinare. Era un brick veloce, maneggevole, 54 cannoni, fatto per l’inseguimento, l’abbordaggio e l’affondamento delle sue prede. Il nome del suo comandante, Joe Blood, sapeva di salsedine e di sangue ed era perciò tra i più temuti del Mare dei Caraibi. Aveva al suo attivo una cinquantina di abbordaggi, tredici dei quali a navi della flotta di sua maestà reale d’Inghilterra e cinque a bastimenti della marina militare francese. Gli davano così la caccia sia le potenti navi da guerra inglesi che le francesi per non parlare dei corsari assoldati dalle due nazioni nemiche, ma a ogni scontro ne usciva vittorioso e con pochi danni: l’albero d’artimone spezzato, la vela di mezzana ridotta a uno straccio, una falla da tappare, una decina di morti, niente che non si potesse riparare o rimpiazzare.
Ora era disteso, dolorante ma in gran parte incosciente, su quello che si temeva diventasse il suo letto di morte.
Il medico di bordo, un po’ meno sbronzo del suo solito, uscì dalla camera chiudendo rumorosamente la porta dietro di lui quando si sentì fare la fatidica domanda.
“E allora, come sta quella carogna, dottore?” La voce aspra proveniva da un angolo oscuro della stanza, dietro il denso fumo di un sigaro cubano. Il medico di bordo riconobbe la bandana rossa e la benda nera sull’occhio sinistro. Tutt’intorno, come nella camera, la parte di bottino spettante al comandante, pari a due volte quella di ogni singolo membro dell’equipaggio così come prevedeva il codice della pirateria: piccole casse piene di monete e gioielli, armi di alta fattura, tra cui coltelli, spade, archibugi, appartenute a prestigiosi nemici, gabbie e trespoli per variopinti uccelli esotici per i quali Blood nutriva una forte passione, in particolare modo per i pappagalli, tappeti, veli, tessuti pregiati, barili di olio sottratte alle baleniere del re che non avevano trovato posto nella stiva, oggetti che testimoniavano della costante esposizione al pericolo e alla morte del comandante e del suo equipaggio.
“Mi rincresce parlare in questi termini ma devo dire le cose come stanno…”
“Sputa il rospo, dottore.“
“Il comandante si trova più di là che di qua e solo un miracolo potrebbe salvarlo. Le sue ferite sono molto profonde ma non sono solo quelle.”
“C'è dell'altro?”
“Forse è tempo che il comandante si dia una calmata. E' vecchio e ammalato... Ha abusato del vino e del rum delle peggiori cantine, troppe orge…”
“Sarà… Può fare qualcosa per lui?”
“Poco e niente. Se supera la notte sarà lui a fare qualcosa per se stesso. Dovrà ammainare la bandiera nera, scegliersi un buon porto, restarci e soprattutto condurre una vita più frugale.”
Il medico di bordo si alzò e si apprestava a lasciare la stanza. Nel mentre, il pappagallo, pensoso, risalì sul suo trespolo, diede un’ennesima tirata al suo sigaro cubano e mormorò: “Lui in un porto? Ma non mi faccia ridere, dottore…”