Avessi detto "moscone", avrei capito, ma non l'ho detto, e se l'ho detto non me lo ricordo.
domenica 17 agosto 2008
Carasau Due, Carasau Due, qui Carasau Uno!
“Carasau Due, Carasau Due, qui Carasau Uno, rispondete!” Il comandante Mazzamurru, che ancora non si era fatto la barba e sembrava un pastore di Bonorvis, lanciò il suo appello dal terminale non appena si accorse che l’astronave gemella si era fermata nello spazio stallatico, probabilmente per un’avaria o per mancanza di propellente. Un classico a sole centoventi volte la velocità della luce. “A furia di andare così lenti finirà che le si attaccheranno le cozze di Olbian”, pensò Mazzamurru. “E una volta che ti si attaccano le cozze di Olbian devi solo abbandonare l’astronave e distruggerla come prescritto dal regolamento.” E già si immaginava il trasloco, il “travaso” dalla Carasau Due e il conseguente sovraffollamento nell’astronave ammiraglia. “Ma perché cavolo non rispondono?” “Carasau Due, rispondete! Capitano Puddu faccia inversione di rotta fino alla costellazione de Sa Furca!” Il capitano, un piccoletto calvo, magro, dalla pelle olivastra e il sorriso sarcastico, non si voltò neanche. “Comandante, finché ci troviamo sull’autorotta stallatica non posso fare l’inversione a U…” replicò senza lasciare trapelare nessuna emotività. “Tra poco”, proseguì, “saremo al bivio di Florinax e lì di inversioni a U gliene faccio due se vuole. A voglia se gliene faccio!” “Mai una volta che mi riesce di comandare”, bofonchiò Mazzamurru. “A casa, c’è mia moglie, qui il capitano Puddu. Il giorno che mi trovano!”
Contrariamente a quanto lasciava intendere la sua freddezza caratteriale, il capitano Puddu aveva una certa tendenza alla distrazione, paradosso che il suo “pisicologo” personale non si spiegava. Egli si accorse solo all’ultimo momento del bivio di Florinax e per evitare una manovra pericolosa in piena Carlo Felix dovette invertire la rotta a Chilivaner che per fortuna distava solo venti tanche stallatiche da Florinax. Puddu non si scomponeva e non si scusava mai. Anche questa volta proseguì come se non fosse successo niente. Non vi dico la faccia di Mazzamurru!... Chilivaner era all’epoca un nodo ferroviario per i passeggeri e le merci dell’Interstallatica ma anche un famoso ippodromo dove ogni giorno i potenti motori delle trakkas si sfidavano in corse spesso mortali.
La Carasau Due si librava in orbita intorno a un pianeta che in qualche modo ricordava a Mazzamurru quello della moglie Alfonsina Casu: la stessa consistenza e lo stesso colore della crosta, gli stessi vermi saltellanti ma quanto succulenti! Ricordava i muri a secco, entro i quali pascolavano felici mucche e pecore, gli ovili, la casa di lei… Ma non era questo il momento di pensare a Marzu per quanto desiderasse tornarvi per dare a Alfonsina il resto di una certa cosa… Dall’astronave intanto nessuna risposta. “ Ok, capitano Puddu, mandiamo un esploratore! Veda se il tenente Figus ha finito con le pecore e se ha voglia di vedere cosa succede là fuori!”
Improvvisamente, le note di un dillu cantau segnalarono l’avvicinamento di un’altra astronave. Il capitano Mazzamurru la conosceva bene quell’astronave: si trattava della Continente 70/b della flotta Continentale, un colosso contro il quale non conveniva assolutamente combattere. Vi aveva lavorato come mozzo molto tempo prima, all’epoca della cosiddetta ondata migratoria, prima ancora dell’Indipendenza, della guerra e dell’odio. “La giustizia lo tiri!” s’esclamò Mazzamurru. “Se ci vedono siamo morti! Capitano, gli uomini fumino il sigaro a fogu a intru, faccia spegnere tutte le luci e ordini il silenzio a tutto l’equipaggio. Chieda a quelli del settore B di smetterla di giocare alla morra e a quelli del settore A se per favore possono interrompere i cori! So che a loro costa e che la manderanno a cagare ma dica che lo chiedo io. Ah, dica a Figus di far tacere le sue pecore…” Il capitano Puddu sembrò esitare. Con ogni evidenza non gradiva ricevere degli ordini ma di fronte al pericolo non poté fare altro che eseguirli. In un attimo dal settore B non uscì più un solo numero, i cori montanari del settore A s’interruppero, le faide famigliari furono rimandate a tempi migliori, le pecore s’ammutolirono. Il silenzio fu totale, neanche fossimo nel pozzo sacro di Paulilatinus. La Continente 70/b che non si accorse delle due astronavi nemiche proseguì la sua corsa senza deviare. Passò talmente vicino alla Carasau Uno che rischiò di trattacasarla e il trattacasamento, in pratica il “grattugiamento” dello scudo, era di quanto più orrendo potesse capitare ad un’astronave nella profondità dello spazio interstallatico.
Quando il pericolo fu passato si ritornò immediatamente alla vita normale con balli, canti, vendette e sequestri. Il tenente Figus, che non sembrava particolarmente felice di indossare il suo scafandro rossoblu, si avviò verso il portello e si tuffò nello spazio sforzandosi di non scoreggiare per evitare una morte sicura per asfissia. E’ uno dei comportamenti salvavita fondamentali che si devono osservare nello spazio stallatico. Aveva un collega, un certo Angelino Muscas di Conchemalu, che scherzava con queste cose come se il grado di tenente lo esentasse da un minimo di prudenza. Finché si trattava di poca roba il pericolo rimaneva nell’ambito teorico ma dopo un pranzo a base di pecora bollita e innaffiato di buon vino le cose cambiano. Fu dopo un tale pasto che durante una passeggiata in scafandro, in uno slancio di superbia, sfidò le leggi della natura mollando un coscia-coscia che per essere silenzioso non era meno micidiale. In un attimo la morte sostituì il suo sorriso beffardo con un’orrenda smorfia. Il suo corpo martoriato fu recuperato e restituito alla famiglia che giurò di vendicarsi perché, queste furono le parole del fratello, “non si manda neanche un cane a passeggiare nello spazio quando ha mangiato pecora bollita”.
Quando raggiunse la Carasau Due bussò alla porta. “Avanti!” si sentì rispondere da una voce dura ma conosciuta e che sapeva amica. Ma tardarono ad aprire, come se fossero prima andati a chiudere le finestre per evitare che la corrente creata dalla Tempiopausania facesse sbattere la porta in faccia di chi sta entrando. Una volta nella Carasau Due Figus si tolse lo scafandro e già si guardava intorno eventualmente gli avessero già servito un bicchierino di filo di ferro o di vernaccia come si usa fare dalle sue parti. “Ciao Figus!” disse il comandante Fragu. “Vedo che ancora non ti sei sposato...” disse indicando un pelo nero di pecora impigliato nella fibra chiara della tuta del tenente. “Purtroppo non ho ancora trovato la donna che fa per me...” Rispose Figus che approfittò per aggiustarsi la cerniera dei pantaloni. “Come mai questa visita?” chiese serio il comandante Fragu. “Ma… non vi siete accorti che vi siete fermati e che il vostro terminale non funziona?” “Ci siamo ancora fermati? La giustizia!.. ma quante volte glielo devo dire a Sanna che deve fare il pieno di stallatico! Non si scherza con i viaggi nello spazio, specialmente se è profondo! Comunque risolviamo col gancio. Ce l'avete un gancio? Il mio l'ho dimenticato a casa." "Una fune fa lo stesso?" "Sì, va bene anche una fune... Ah, siediti Figus! Una vernaccina?”
La Carasau Uno agganciò la Due e la trainò sino alla base di Elmas 400 di Serrentis. Alla base le due astronavi fecero il pieno di stallatico e, trovandosi, chiesero il controllo del livello delle cozze. In effetti la Carasau Due ne aveva un bel po’ attaccate ma niente di preoccupante e di irrimediabile. Da un male mancato poteva nascere un bene. Non che amassero particolarmente i prodotti ittici dello spazio, è una cosa notoria, ma quella volta ne mangiarono con un appetito insolito, l’appetito di chi è pronto ad affrontare la parte più pericolosa del viaggio. Là, oltre le costellazioni de Sa Trattalìa e de Sa Musca Magheda, era la loro destinazione. Mentre l’equipaggio guardava quell’immaginario orizzonte il tenente Figus si appartò, disse, per un bisogno impellente.
Dieci ore sarde più tardi raggiunsero il pianeta Terra. In mezzo al mare notarono una curiosa isola a forma di sandalo. Gli strumenti di bordo raccontavano che era ancora deserta. La vegetazione era abbondante ma piuttosto monotona. In pratica l’intera isola era ricoperta di querce. “Ci sarà da lavorare”, pensò Mazzamurru.
Prese il microfono, fece una breve prova suono: “Sa, sa, sa…” Concas, l’adetto alle pulizie, non poté reprimere la sua solita battuta: “Sa matza ti càllidi!” Risata generale.
“Bambini”, disse Mazzamurru, “è qui che vivremo per un po’. Questo è il pianeta che ci hanno chiesto di colonizzare. Non vi preoccupate, non dovremo starci a lungo. Torneremo a TanKa il nostro pianeta e alle nostre case. So che vi manca tanto e non è giusto che rimaniate qui più del necessario. Altri verranno dopo di noi ma a noi è stato chiesto di fondare una civiltà. I vostri genitori hanno tanto da lavorare, voi mi raccomando, non bisticciate, perché quando bisticciate diventano nervosi e se diventano nervosi si ubriacano e non lavorano. Giocate come sapete fare e avete sempre fatto. La riuscita della nostra missione dipende dalla vostra preziosa collaborazione. Giocate alla morra, così ripassate la matematica. Se volete potete costruire delle capanne o delle casette.” Poi, rivolgendosi ai membri adulti dell’equipaggio: “Ajò!”
Gli uomini piantarono il mirto, il Cannonau, la Malvasia, il Cagnulari, misero una sirena sul Monte Gonare, edificarono delle città. Nel mentre i bambini costruivano dei nuraghi.
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1 commento:
Te lo scrivo anche qui: "E' una storia FANTASTICA!"
P.S. quasi quasi chiedo a Susi se ha voglia di farsi ispirare per un'illustrazione. Questo racconto se la meriterebbe proprio!
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