giovedì 18 giugno 2009

Lo sconosciuto

Eravamo due persone diverse, completamente diverse, e ancora lo siamo. Forse un po’ lo conoscevo, così come si conoscono le persone che per un attimo incrociano il nostro destino.

Mi accorsi della mia trasformazione in ufficio o meglio una mia collega se ne accorse per prima. Ricordo che era un venerdì e che mi ero messo a contare i minuti che mi separavano dal mio amato fine settimana.

Adalgisa, la collega, mi disse: “Che cos’hai ? Cammini in modo diverso…“
“Diverso?” chiesi stupito.
“Da qualche giorno cammini … come Charlot, ecco, l’ho detto!”

All’ingresso abbiamo una porta-finestra vetrata che, oltre a lasciare entrare la luce, la mattina ci permette di dare un’ultima occhiata alla nostra mise. La vetrata mi rimandò effettivamente una camminata alla Charlot, con la punta dei piedi verso l’esterno. Ci rimasi male anche se per il tempo che trascorsi ancora in ufficio non lo diedi da vedere, almeno nelle mie intenzioni.

A casa evitai di camminare davanti ai miei famigliari, con la scusa di un dolore alle ginocchia. Il giorno seguente non uscii, rinunciando pure alla nostra ormai consueta passeggiata del sabato pomeriggio. I miei figli, maschi, quattordici e dodici anni, ringraziarono. Alla loro età un po’ si vergognavano di farsi vedere nel parco con papà e mamma. Uscirono quindi per conto loro e mia moglie andò a trovare la sorella dall’altra parte della città. Finalmente solo. Potevo cercare di correggere il mio modo di camminare provando ad allineare il più possibile i due piedi. Dovevo pensare ogni passo, costringermi a camminare normalmente. Andavo e venivo nel lungo corridoio imponendomi di rimanere nei limiti delle due mattonelle di trenta centimetri. Mi esercitai per tutto il pomeriggio finché non furono visibili i risultati.

La domenica azzardai qualche passo fuori casa, sorvegliando il mio incedere ogni volta che passavo davanti alla vetrina di un negozio. Apparentemente, tutto era tornato alla normalità.

Il lunedì rientrai in ufficio sapendo di dover passare il test decisivo, quello di Adalgisa, a cui non sfugge mai nulla, maledetta. Vidi che sorrideva, come se avesse capito che le avevo fatto uno scherzo. Interpretai il suo sorriso come un okay definitivo.

Poi, sapete com’è, il tempo passò. Dimenticai l’accaduto e non prestai più attenzione al mio modo di camminare.

Una mattina, guardandomi allo specchio, notai un’espressione che non mi conoscevo. Avevo la faccia interrogativa di uno che ha perso la strada in un paesino di trenta abitanti. Anche questa fu una dura battaglia. Mi costò due weekend solo a casa a fare degli esercizi davanti allo specchio.

Un’altra volta dimenticai, abbassai il livello di guardia, e non mi accorsi dell’attacco finale scoccato a tradimento mentre meno me l’aspettavo. Quel venerdì, rientrando a casa, ero un altro uomo. Davanti allo specchio grande dell’armadio capii che tutto era cambiato in me: era tornata la camminata alla Charlot, ero rimpicciolito, grasso, i miei capelli erano grigi con un’orrenda riga a destra e avevo un’altra faccia con l’espressione da ebete. Mia moglie e i miei figli ancora non erano tornati. Come al solito lei era andata a prenderli all’uscita di scuola, come se alla loro età non potessero tornarsene da soli! Mi precipitai fuori, sperando di incontrali per strada, che mi riconoscessero…

Li vidi. Con loro c’ero io e c’era pure Bobby, il nostro cane... Sorridevo, felice. Pensai in quel momento che se lui era diventato me, io ero diventato lui. Ero un mostro… Odorandomi le mani mi accorsi che puzzavano di pesce. Che schifo, ero diventato un pescivendolo!

Non mi avvicinai troppo e non dissi niente. Li accompagnai verso casa, stando mezzo metro dietro. Entrai con loro.

Lui si voltò:“Che ci fa lei in casa mia?”
Come? Io? Ma questa è casa mia! Guardai mia moglie, i miei figli, il cane.
“Bobby!”Si mise a ringhiare.
“Esca di casa nostra!” Disse mia moglie.
“Ma…”
“Esca, o chiamo la polizia!”

C’era uno specchio, quello davanti al quale avevo fatto i miei esercizi. Rifletteva l’immagine di uno sconosciuto e questo sconosciuto ero io. Allora mi diressi verso la porta, sconfitto.Poi guardai il cane, la sua cuccia, la sua pappa, il suo osso.

E decisi che sarei diventato lui.

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