Devo la mia salvezza al mio insegnante di matematica alle superiori quando ancora ero in prima. Era un uomo dall’aspetto tanto severo ma fondamentalmente giusto e, per questo, profondamente umano. Sai come sono i primi tempi, una volta dimenticati i timori iniziali: si comincia a prendere confidenza e, credendo di interpretare la disponibilità degli insegnanti a proprio favore, ci si allarga eccessivamente. Per farla breve, a un mese dall’inizio dell’anno scolastico, i più audaci avevano già tirato fuori le buste di patatine che come dei lupi famelici si mettevano a divorare in barba ai ripetuti richiami e alle minacce di note sul registro. Vedendoci mangiare senza freni, il professore, Musu si chiamava, ci chiese:
“Lo vogliamo fare un piccolo viaggio d’istruzione nell’istituto?”
La risposta fu un boato unanime. Un viaggio d’istruzione? Dove? Quando? Come? Sì, che ci vengo!
“Vi chiedo solo un piccolo favore”, disse Musu, “nel corridoio cercate di non fare troppo chiasso!”
La classe uscì, ordinatamente e in un silenzio religioso. La piccola processione percorse il lungo e unico corridoio della scuola per poi fermarsi davanti alla quinta A. Il professore bussò e, senza provare la minima pietà per i poveri innocenti che eravamo, aprì la porta proferendo queste terribili parole:
“Ecco che cosa diventerete!”
Lo spettacolo mi rimase a lungo conficcato in petto, come una pugnalata a tradimento. Gli strilli di maiali che assassinano ci raggelarono il sangue. Nell’aula era un fuggi fuggi generale di foche, di trichechi, di balene, di mammut, di esseri enormi che si vergognavano di quel che erano diventati. Un paio si era nascosto dietro l'armadio, uno stava dentro, altri tre o quattro avevano trovato rifugio sotto la cattedra, la maggior parte tentava, inutilmente, di sottrarsi alla nostra vista rintanandosi sotto i banchi mentre i più coraggiosi cercavano la fuga dalla finestra per fortuna al primo piano. Uno soltanto, una specie di ippopotamo seduto su due sedie, stava finendo un sacco di mangime che la mamma premurosa gli aveva fatto pervenire durante la ricreazione. Questo mi sembrava. Mi accorsi solo più tardi che in realtà si trattava di un insegnante, di educazione fisica per di più. Fummo pietrificati, ferrificati, acciaificati. Vi furono delle crisi di pianto, di panico, isterismi. Alcuni svennero. Chiamarono l'ambulanza, i pompieri, i bidelli, i genitori, lo psicologo, il preside, i carabinieri. Arrivarono tutti assieme, come si va allo stadio, e chi consolava, chi stringeva il proprio figlio tra le braccia, chi giurava che l’avrebbe immediatamente iscritto in una scuola seria, le acque cominciarono a chetarsi.
Lentamente la situazione fu sotto controllo. Ripreso il flusso regolare delle lezioni, più nessuno osò mangiare in classe né lo fece negli anni seguenti.
Oggi sono insegnante a mia volta e sembrano definitivamente andati i tempi di Musu: la maggior parte dei ragazzi sono obesi già dalla prima e quando camminano il pavimento scricchiola, le travi gemono, i calcinacci cadono sui banchi. Il soffitto della seconda C è crollato la settimana scorsa, quello della presidenza promette di farlo al più presto. Qualsiasi consiglio alimentare è diventato inutile. Ognuno dietro al proprio trogolo mastica in continuazione, come per una specie di diritto acquisto. Si mangia senza fame, per inerzia. Non c'è più niente da fare per loro, ormai sono perduti, gonfi come dei palloncini colorati i giorni di festa. L’unica cosa che possiamo fare è di lasciarli andare e guardarli nostalgicamente, leggeri più dell’aria, diventare dei puntini e poi sparire definitivamente nel cielo di un eterno autunno.
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