Il nostro elicottero, un Agusta A129 Mangusta, si era appena addentrato in territorio nemico. La nostra missione consisteva nel distruggere le postazioni avanzate segnalate da un nostro pilota spia. Un obiettivo a quando pare molto importante per le sorti della guerra. A missione compiuta li avremmo costretti alla resa e in poche settimane saremmo tornati tutti quanti a casa. Da lì a poco avremmo scritto la storia. A bordo del velivolo c’era un piccolo campione d’Italia con un napoletano, un sardo, un friulano, un siciliano e io che sono abruzzese, un po’ come in certe barzellette, solo che lì si faceva sul serio.
Chi soldato non è ignora che uno degli effetti della paura è che la tua mente, specialmente nei momenti di massima tensione e del maggior pericolo, riesce a portarti in dimensioni paradossalmente opposte rispetto a quanto si sta vivendo. I miei soldati parlavano niente meno che di roba da mangiare, di come le loro mogli cucinano, dei pranzetti che avrebbero preparato al loro ritorno, delle forchettate di spaghetti al sugo, delle frittate di cipolle…
Mentre sorvolavamo un campo sul quale pascolavano pacifiche alcune pecore magre, Spissu, il sardo, s’esclamò: “Ma qui è pieno d’asparagi!” E tutti a scrutare il suolo. “E’ vero!”, gli fece eco il napoletano.
In men che si dica si paracadutarono tutti sul campo e, senza neanche ripiegare il loro paracadute, si misero a cogliere gli asparagi.
La missione fallì e i miei compagni furono catturati. Questo è quello che so e quanto ho riferito ai miei superiori.
Domani partiamo in missione di soccorso e nell’elicottero ci saranno un napoletano, un sardo, un friulano, un siciliano e io che sono abruzzese.
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