Se mi dovessero chiedere qual è la più grande figuraccia della mia vita direi che fu quella volta che andai al rettorato con mia nonna.
Non c'era ragione alcuna che potesse spiegare perché un diciottenne sveglio e intelligente come me si dovesse presentare, un nuvoloso pomeriggio di novembre, con la propria nonna al Rettore dell'Università alla quale si era appena iscritto. Avendo conseguito la maturità in Belgio, per potere frequentare un'università italiana dovevo risolvere un problema di equipollenza dei diplomi. In teoria, sarei potuto andare da solo a sbrigare questa faccenda, ma con una famiglia come la mia questa evenienza rimaneva, appunto, pura teoria. I figli non sono mai grandi abbastanza: li si deve accompagnare dal medico, a scuola, all'altare, e al rettorato, ovviamente. E siccome i miei erano ammalati, l'incombenza spettava a mia nonna.
Nonna Teresa era solita indossare, estate come inverno, il costume tradizionale del nostro paese, quello delle vecchie cartoline e del ballo in piazza di un tempo, con corpettu, antalena, veste, camisa e lionzu.
Quando quella sera entrammo nella vasta hall del rettotato, il via vai e le discussioni cessarono istantaneamente: tutti gli sguardi furono per noi.
All'ingresso, un usciere sorridente.
"Attraversate la hall e salite le scale dietro quella colonna!" ci spiegò. "Al piano chiedete all'usciere!"
L'attraversamento della hall fu un calvario: la folla aveva formato, sotto un enorme lampadario acceso, due file tra le quali procedevamo. Finalmente le scale! Dio non voglia che ci accompagnino fin lassù! Non lo fecero, ma finché rimanevamo in vista, gli occhi non si schiodavano da noi. Quando sparimmo nelle scale, a giudicare dal rumore, ognuno tornò alle proprie occupazioni: controllare le graduatorie e l'orario d'apertura della segreteria, chiedere informazioni, andare a destra e a sinistra.
Al piano superiore, un altro usciere ci indicò la sala dove aspettare che il Rettore ci chiamasse.
Dopo una buona mezz'ora, il Rettore aprì la porta del suo ufficio e ci invitò a entrare.
Era una stanza grande, con arredamento antico, un bel lampadario liberty e una sola finestra che dava su una di quelle viuzze scure di Castello che piacciono tanto ai turisti.
"Mi dica, Signora!"
"Allora, mio nipote, qui presente, è dovuto venire con me perché i genitori hanno una specie d'influenza."
"Sì, ma a che cosa devo la sua venuta. Mi spieghi!"
"Allora, è a causa del baccalaureato di mio nipote..."
"A causa del?"
A questo punto successe una cosa che in teoria mi avrebbe dovuto salvare la vita: un black out e un corale Ooooooooooooooh! proveniente dalla hall! Il rettore e la nonna furono inghiottiti dal buio, così come il rossore del mio viso. Grazie Dio, sei grande!
Mia nonna tirò allora da una tasca una candela, l'accese con un fiammifero di legno, e la piantò in un posacenere ricordo di una romantica vacanza a Venezia.
"Del baccalaureato", ripetè.
Poi tornò la luce, e con la luce il mio rossore.
Dalla hall: Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah!
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