Il 1999 lo ricordo come fosse ieri non solo perché era l’anno dell’eclisse o perché come tutti aspettavamo il millenium bug e le sue incontrollabili conseguenze. Eravamo in attesa sì ma del nostro secondo figlio.
Lo volevamo così com’è ora, un po’ dispettoso ma tanto coraggioso: quando saremmo invecchiati ci avrebbe pensato lui a difenderci. Lo immaginavo nell’atto di buttare pentoloni di olio bollente sul nemico o più semplicemente di rispondere pesci in faccia a chi se lo merita, cose che non so fare…
L’avventura prese inizio a maggio di dieci anni fa quando avevo la pancia più grossa di quella della mia metà. Ricordo le preoccupazioni, le lunghe attese dal mio ginecologo, le visite specialistiche di cui nessuna rimborsata, il caldo, i pruriti, i fastidi. Stavamo procedendo magnificamente verso il grande evento.
Inverno 2000, mia moglie volle assistere ad ogni costo e nonostante le avessi fortemente sconsigliato di farlo. Ricordo le urla disperate di mio figlio che si affacciava alla vita ma nacque sano con tutte le dita a posto. Sapeste come beveva il mio latte! Era uno spettacolo vederlo!
Fui dimessa quattro o cinque giorni dopo. Finito il congedo forzato per maternità, rientrai al lavoro dove non vedevo l'ora di ritrovare le amiche e parlare di pappe e di pannolini. Se non sei mai stato mamma non puoi capire le gioie della maternità e come questa ti cambi dentro, nel profondo.
Oggi ho due ragazzi che mi danno grandi soddisfazioni e un marito che vorrebbe tentarsi il terzo ma sinceramente, ho già dato.
Avessi detto "moscone", avrei capito, ma non l'ho detto, e se l'ho detto non me lo ricordo.
venerdì 22 maggio 2009
lunedì 18 maggio 2009
Causa persa
Non so se valga ancora la pena battersi per la causa di cui ora ti parlerò ma le voglio comunque dare un’ultima possibilità la prossima estate. Vivo in un paese sperduto della Sardegna che non può più contare su niente per sopravvivere, né sull' agricoltura, né sulla pastorizia. Non che nessuno voglia più fare l’agricoltore o il pastore, il fatto è che non ne vale la pena. In quanto all’edilizia viviamo ancora nelle nostre vetuste case di paglia e fango ricoperte da malandate tegole sarde. Spinti dalla disperazione, un po’ anche dalla rabbia e dalla paura di dovere cercare lavoro fuori, come hanno fatto molti compaesani, abbiamo pensato, insieme a qualche anima buona, di farci venire i turisti usando tutti gli stratagemmi possibili. Ci sono dei paesi che vivono di turismo: Orgosolo, San Sperate, per esempio. Che cosa ci vadano a fare i turisti lì non l’ho capito ma una cosa è certa: a loro piace il vecchio e il rovinato e a noi è proprio quello che non manca. Per farla breve, siamo una ventina di amici e parenti, la mattina ci vestiamo da sardi, con costumi che i nostri nonni portavano ancora fino a pochi anni fa: gonne, corpetti, barrita, spaccatroddiu, cambali e ci rechiamo tutti i santi giorni al bivio della strada statale proprio sotto il cartello che indica il paese. Quando passano le macchine ci mettiamo all’inizio della curva lungo la striscia bianca che delimita la strada e facciamo un ballo sardo accompagnati dal sonettu di Antonio Licheri. Quando e se gli automobilisti si fermano gli offriamo della vernaccia e li invitiamo a passare in paese. Alcuni decidono che forse vale la pena di farci un giro e di spendere qualche soldino, molti filano dritto. Abbiamo uno slogan che abbiamo riprodotto in un cartello enorme all'ingresso del paese: "Beni a bidda e portanci sa pobidda" (vieni in paese e portaci la moglie). L'anno scorso è andata bene, nel senso che non ci abbiamo tutto sommato rimesso ma se non ci facciamo venire qualche altra idea siamo finiti... C’è da dire che quelli del paese prima ci hanno copiato l'idea e che pure loro si appostano al loro bivio rubandoci i turisti. Credo comunque che lungo quella statale molti paesi manderanno le proprie delegazioni folkloristiche e che quando questo succederà per noi sarà proprio la fine. Questa è la causa per cui mi sono battuto questi ultimi anni e per cui quest’estate ancora mi batterò.
venerdì 15 maggio 2009
La camera
Di notte la camera diventa l’antro degli orrori. Le due masse oscure ora distese l’una accanto all’altra sono squarciate dalla lama di luce che penetra da una serranda difettosa insieme a un silenzio che poche ore fa era un rassicurante fragore cittadino. La stanza è pregna di un odore ripugnante, quello del venerdì, quando fanno strage di pesci. Dormono, dormono e sognano come dormono e sognano i mostri appagati. Grugniscono, gemono, sibilano, soffiano, soffocano, si voltano e riprendono a grugnire.
Nella sua boccia, immobile, terrorizzato, il pesciolino rosso fissa le due forme indistinte temendone l’improvviso risveglio. Ma teme ancora di più, vigili sui comodini acagiù, ai lati del letto, immersi nell’acqua dei bicchieri, atroci come vaghe promesse di morte, i loro sorrisi assassini.
mercoledì 6 maggio 2009
Conversazione...
tra due mosconi contro il vetro della mia cucina.
- Che hanno a pranzo, pizza o manzo?
- Manzo...
- Ganzo!
- Che hanno a pranzo, pizza o manzo?
- Manzo...
- Ganzo!
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