Le tenebre hanno appena dissipato gli ultimi raggi di un sole stanco quando i tre ragazzi affrontano la ripida salita delle Filippine. Una volta arrivati in cima l’illuminazione è definitivamente affidata alle lucciole, agli astri notturni e al cono di luce di una pila tascabile. La strada costeggia alcune villette e sprofonda definitivamente nell’oscura campagna. A sinistra, un’interminabile siepe di rovi con la sua sinfonia di cicale. A destra, «un orto gentil, cinto di vaghe mura, ove sempre frondeggia april vezzoso» che accompagna i nostri amici sino alle rovine della Villa Giustiniana, la residenza estiva del vescovo del Nebbio dalla quale si godeva di un panorama suggestivo sulla città di Bastia e l’arcipelago toscano. In lontananza, sospese nel buio come in un presepe, le luci del convento cappuccino di Saint-Antoine. Ma la tiepida notte di giugno è di buona compagnia con i suoi rumori e i suoi odori che sanno già d’estate. E’ impossibile avere paura in una notte come questa anche se un po’ conviene affrettare il passo davanti all’informe e anonimo cimitero di famiglia che improvvisamente si erge davanti a loro. Affrettare il passo e fischiettare. Ma ormai il più è fatto. Il convento non è molto lontano. Ancora qualche passo e sono arrivati. I tre ragazzi riconoscono, sedute sul muretto della piazza della chiesetta, le ragazze che commentano con un sorriso il loro arrivo. Un fischio d’apprezzamento, delle risate soffocate e i due gruppi si fondono in uno più grande. Quando i giovani entrano in chiesa può cominciare la prima notte di novene di Sant’Antonio da Padova. Ad un certo punto l’officiante intona il tanto atteso “Si queris miracula”. E tutti assieme, in un coro celestiale, riprendono senza capirle le parole in latino della preghiera.
"Si quaeris miracula
Mors, error, calamitas
Daemon, lepra fugiunt,
Aegri surgunt sani."
La preghiera dei fedeli vola alta nel cielo come da una campana a velo ed è sempre gradita al santo che non se ne avrà a male se per molti una lepre fugge davanti al demonio.
"Caedunt mare, vincula,
Membra resque perditas
Petunt et accipiunt
Juvenes et cani."
La parola, “vincula”, che nessuno osa troppo interpretare, viene appena sussurrata dai timorati mentre i giovani fattisi improvvisamente spavaldi la cantano ad alta voce ad un’assemblea scandalizzata. Un uomo si volta, cerca con gli occhi infuocati un ragazzo che potrebbe essere suo figlio e gli rivolge un cenno minaccioso che sembra significare: “Con te facciamo i conti a casa!” Il giovane capisce la minaccia, si ammutolisce rosso dalla vergogna e abbassa lo sguardo.
Solo un ristretto gruppo di fiere bigotte sembra conoscere la terza strofa:
"Pereunt pericula,
Cessat et necessitas;
Narrent hi qui sentiunt,
Dicant Paduani."
Ma l’intera comunità si ricompone cantando gli ultimi due versi:
"Gloria Patri et Filio
Et Spiritui Sancto"
La messa è finita, i fedeli speranzosi sono già usciti ed è venuta l’ora per i ragazzi, che hanno perso di vista le loro coetanee, di stringersi fischiettando dietro al loro cono di luce e di lasciarsi guidare dalla lucciole e dagli astri.
Alle loro spalle, come in un presepe fuori stagione, il convento risuona di preghiere e veglia su una Bastia assonnata.
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