Avessi detto "moscone", avrei capito, ma non l'ho detto, e se l'ho detto non me lo ricordo.
lunedì 31 agosto 2009
Stelle
Eccolo lì, lo sceriffo... Ha appena visto l’uomo che ha svaligiato la banca e ucciso il suo migliore amico. Non esita un istante: sfodera la pistola e spara… Il malvivente non è stato centrato. Un colpo di speroni e prende la fuga. Lo sceriffo lancia il suo cavallo all’inseguimento di quella carogna lungo il Rio Grande ed è un susseguirsi di paesaggi fantastici che trovi soltanto nei grandi western. Ma anche il fuorilegge ha un’arma… Stai attento sceriffo, non farti colpire da quel essere spregevole… Ora vengono inquadrati in successione i garretti dei cavalli al galoppo. Quello dello sceriffo sembra più veloce, è più veloce. L’uomo di legge è finalmente arrivato all’altezza del bandito, si lancia e lo disarciona. Cadono in acqua, ma lì non c’è storia: due magnifici cazzotti e la giustizia trionfa ancora. Giuseppe non vuole perdere niente del film: mentre si accendono le luci del cinema e sfilano i titoli di coda è l’unico a rimanere ancora seduto nella sua comoda poltrona. In cuor suo ha deciso: da grande diventerà sceriffo. Ma dove cavolo è andato il fratello maggiore? Va bene, ha capito, deve uscire. Proprio prima di varcare la soglia da un ultimo sguardo allo schermo, poi torna alla buia realtà. Sono le sette e trenta di una domenica invernale all’uscita di un piccolo cinema di paese. La gente se n’è andata tutta e lui è rimasto solo ma sa che in questi casi non si deve muovere perché tanto il fratello torna. Improvvisamente, le luci del cinema si spengono. Davanti al cinema il campetto di calcio, che conosce come le sue tasche, è completamente immerso nella notte nonostante gli sforzi di una scarsa luna. Quasi, quasi… Ma sì! Si lancia al galoppo, il tempo di catturare il bandito e poi torna… Tagadà, tagadà, tagadà, tagadà… Svolta a sinistra. Tagadà, tagadà, tagadà, tagadà… Ancora a sinistra. Paf! Una stella gigante illumina il cielo a giorno. Trovato il fratello… Ora hanno un serio problema: come spiegare ai genitori il bel occhio nero che si sono appena fatto?
giovedì 27 agosto 2009
Il padre di Lenin
Il tetto dell’inferno crollò improvvisamente, quasi senza fare rumore. Nell’ombra dell’ombra un uomo gridava che voleva vivere ancora. Accorsero. E’ inutile, da lì non si passa e non si può fare saltare la roccia con l’esplosivo. Spacchiamola con la mazza e preghiamo Iddio di arrivare in tempo. Se lo salvavi era tuo fratello, se moriva era tuo fratello.
Ed erano tuoi fratelli tutti quelli che ti stavano intorno, la fronte lavata dal sudore, le guance dalle lacrime e la sera la bocca dal vino peggiore.
Ho riempito venti vagoncini di materiale e me ne paghi quindici. Il bambino che mi è nato ieri lo chiamerò Lenin. Giuro che lo chiamo Lenin perché così ci state uccidendo. All’alba, marceremo con tutti i miei fratelli verso la città. A centinaia sputeremo per terra guardando il sole in faccia.
“L’ho organizzato io quello sciopero, sai?”
Il vecchio scava nei suoi ricordi. Racconta una storia di sangue e di dolore, una storia di terra, di pietra, di polvere, una storia triste e dura, una storia bella, quasi d’amore. Una storia di miniere. Le parole che risalgono dalle profondità sono nere come il carbone, rosse come la rabbia, dolci e stanche come quando l’argano lo riportava alla luce del sole. Sono parole nostalgiche che inseguono dei volti e dei nomi nelle gallerie del passato, sempre più profonde, più strette e buie. E beve del pessimo vino per ricordare meglio, per mandare giù la polvere del tempo come fosse quella che respirava una volta. Il figlio, che poi ha rinunciato a chiamare Lenin, beve con lui e ascolta. Ha una penna in mano.
“Hai scritto, Lino?”
“Ho scritto, papà.”
Ed erano tuoi fratelli tutti quelli che ti stavano intorno, la fronte lavata dal sudore, le guance dalle lacrime e la sera la bocca dal vino peggiore.
Ho riempito venti vagoncini di materiale e me ne paghi quindici. Il bambino che mi è nato ieri lo chiamerò Lenin. Giuro che lo chiamo Lenin perché così ci state uccidendo. All’alba, marceremo con tutti i miei fratelli verso la città. A centinaia sputeremo per terra guardando il sole in faccia.
“L’ho organizzato io quello sciopero, sai?”
Il vecchio scava nei suoi ricordi. Racconta una storia di sangue e di dolore, una storia di terra, di pietra, di polvere, una storia triste e dura, una storia bella, quasi d’amore. Una storia di miniere. Le parole che risalgono dalle profondità sono nere come il carbone, rosse come la rabbia, dolci e stanche come quando l’argano lo riportava alla luce del sole. Sono parole nostalgiche che inseguono dei volti e dei nomi nelle gallerie del passato, sempre più profonde, più strette e buie. E beve del pessimo vino per ricordare meglio, per mandare giù la polvere del tempo come fosse quella che respirava una volta. Il figlio, che poi ha rinunciato a chiamare Lenin, beve con lui e ascolta. Ha una penna in mano.
“Hai scritto, Lino?”
“Ho scritto, papà.”
lunedì 24 agosto 2009
Conversazione col bullecco
Sotto le lenzuola, il bimbo sussurrava alla sua mano, il bullecco, appena udibili dal bullecco stesso, delle misteriose parole in una lingua sconosciuta. Era una triste conversazione tra lui e la sua mano destra in un tetro e buio dormitorio all’ora della ronda e della preghiera che precede il sonno. “Mamma…”, “Non c’è la mamma!”, “Dov’è andata?”, “Non lo so. La bambina ti ha dato la mano oggi?”, “Oggi no, ieri… Non avevamo voglia di giocare e siamo rimasti a guardare”, “Attento, la ronda!”
I sorveglianti circolavano a passi felpati tra i letti cercando di sorprendere chi facesse finta di dormire. Avvertì dei passi furtivi e forse un leggero spostamento d’aria proprio vicino al suo letto. Si erano appena fermati all’altezza della sua testa, immobile sul cuscino. Un fascio di luce filtrò attraverso la coperta e il lenzuolo perciò cercava di respirare regolarmente perché era soprattutto dal respiro che s’accorgevano se facevi finta o dormivi davvero. Passarono pochi interminabili secondi che sembrarono convincere la ronda. I passi si allontanarono alla ricerca di povere anime disperate che non riuscivano a darsi pace. Una la trovarono. Si sentirono gli schiaffi e dei pianti soffocati, poi di nuovo un silenzio di preghiere.
“Perché non c’è la mamma?”, “La mamma vuole che tu rimanga qui, poi un giorno verrà a prenderti. Stai tranquillo. Prometti di non piangere?”, “Va bene prometto…”, “Dimmi, poi che cosa avete fatto con la bambina?”, “Niente, siamo rimasti a guardare gli altri che giocavano mentre mi dava la mano. Poi sono arrivati i sorveglianti e l’hanno portata via. Lei piangeva perché non voleva lasciarmi. L’hanno picchiata… Loro sono cattivi, cattivi…”, “Attento, la ronda!”
Questa volta toccò a lui: “Alzati !” Il bimbo si mise in piedi fingendo un’espressione addormentata e sorpresa. Erano i due sorveglianti, uno gli puntava la luce di una torcia elettrica in pieno viso. Non ci furono altre parole. Soltanto schiaffi.
I sorveglianti circolavano a passi felpati tra i letti cercando di sorprendere chi facesse finta di dormire. Avvertì dei passi furtivi e forse un leggero spostamento d’aria proprio vicino al suo letto. Si erano appena fermati all’altezza della sua testa, immobile sul cuscino. Un fascio di luce filtrò attraverso la coperta e il lenzuolo perciò cercava di respirare regolarmente perché era soprattutto dal respiro che s’accorgevano se facevi finta o dormivi davvero. Passarono pochi interminabili secondi che sembrarono convincere la ronda. I passi si allontanarono alla ricerca di povere anime disperate che non riuscivano a darsi pace. Una la trovarono. Si sentirono gli schiaffi e dei pianti soffocati, poi di nuovo un silenzio di preghiere.
“Perché non c’è la mamma?”, “La mamma vuole che tu rimanga qui, poi un giorno verrà a prenderti. Stai tranquillo. Prometti di non piangere?”, “Va bene prometto…”, “Dimmi, poi che cosa avete fatto con la bambina?”, “Niente, siamo rimasti a guardare gli altri che giocavano mentre mi dava la mano. Poi sono arrivati i sorveglianti e l’hanno portata via. Lei piangeva perché non voleva lasciarmi. L’hanno picchiata… Loro sono cattivi, cattivi…”, “Attento, la ronda!”
Questa volta toccò a lui: “Alzati !” Il bimbo si mise in piedi fingendo un’espressione addormentata e sorpresa. Erano i due sorveglianti, uno gli puntava la luce di una torcia elettrica in pieno viso. Non ci furono altre parole. Soltanto schiaffi.
domenica 23 agosto 2009
Una storia velenosa
Voi, il potere della folla inferocita non lo conoscete e vi auguro di tutto cuore di non conoscerlo, come è recentemente capitato a me. La mia triste esperienza ha avuto luogo in un villaggio vacanze della Costa Smeralda dove mi reco ogni anno a ferragosto con la mia famiglia. Partecipo solitamente nella e intorno alla piscina principale – l’altra è la relax – alle varie attività proposte dallo staff d’animazione durante le cosiddette ferragostiadi o giochi di ferragosto. Inizialmente, ho una certa difficoltà a vincere le inibizioni accumulate durante un intero anno di lavoro nella civiltà ma, a poco a poco, riesco a lasciarmi andare per non dire abbandonarmi. Non è affatto semplice assistere, per esempio, a “miss maglietta bagnata” e cantare insieme al coro maschile “Oh le le, oh la la, faccela vedè, faccela tocca!” oppure essere stonati come una casseruola e dover esibirsi in un pietoso karaoke davanti a un pubblico ilare. Sono un tipo riservato e piuttosto pudico - lo avete capito che certe cose non sono da me - eppure, come per incanto, quando sono più che certo di indossare il mio caro costume da bagno lungo sino alle ginocchia e con effetto paracadute nei tufi, mi ritrovo, magia delle magie, in tanga. Sì, avete letto bene, in tanga completo di filo interdentale tra due guanciali. Ed eccomi pronto a prendere parte a “balena bianca” in piscina! Oltre ad essere involontariamente indecente mi capita di fare delle cose che mai e poi mai mi verrebbe in mente di fare nel mondo reale, come quando, improvvisamente, passa il trenino. L’ho sempre odiato, il trenino e quella canzone che fa Brigitte Bardot Bardot… Indovinate… Quest’anno il capotreno ero io… Ciao ciao con la manina!
Tanga, balena bianca, oh le le oh la la, trenino, faccia felice, da scemo … Il massimo della mortificazione, direte. Dovete sapere che non appena mi comprometto sbucano da chissà dove i microfoni e le telecamere di Rai 3 a farmi la tradizionale intervista e a proporre ai carissimi telespettatori le mie ormai famosissime chiappe. E non c’è modo di rifiutare: quelli ti stanno attaccati come le vespe! Finché non ti rovinano la reputazione davanti al paese intero non ti danno tregua. E’ così ogni anno, sistematicamente, come una condanna, una pena da scontare. E non chiedetemi perché.
Quest’anno è stato traumatico. Ringrazio solo Iddio che i miei erano andati a dormire e non hanno assistito alla mia umiliazione. Avete presente il vizio degli animatori – li possa rincorrere santo Pantaleo! – che a tradimento chiamano uno del pubblico? Ma sì, lei, non faccia il difficile! Un applauso per… Indovinate a chi è toccato? Sì, a me, anche in quell’occasione sicurissimo di essere finalmente riuscito a mettere il mio costume gigante, quello che visto sott’acqua mi fa sembrare una medusa… Ma sotto i proiettori ero in tanga, più impacciato che mai. Dovevo fare un’imitazione ma mi rivelai così goffo che dovetti rincominciare più volte perché il pubblico non capiva. Ero talmente imbambolato che probabilmente ero io a non avere capito che il gioco era un altro. Un imbecille ha cominciato a scandire: “Nudo! Nudo! Nudo!” E la folla in una sola voce: “Nudo! Nudo! Nudo!” E io: nudo. E tutte che me lo guardavano, e tutte che ululavano… e io, lì, in mezzo, ero un pomodoro. Ma alla fine, quando tutti gli occhi si erano rifatti una salute, quando anche i ciechi vedevano, alla fine venne l’applauso. Fu lungo, intenso, caloroso e, soprattutto, riconoscente.
E sbucarono dalla notte i microfoni e le telecamere di Rai 3. Grazie, grazie davvero… Mostriamolo pure al mondo intero… Ma il veleno in tutto questo? Tutto quello che so è che quando arrivo ne sono saturo, imbevuto come può esserlo un babà. Sempre. Quando vado via, invece, ne ho molto meno e ho qualche speranza di sopravvivenza in più.
giovedì 6 agosto 2009
Baciami
Gli occhi erano quelli e i capelli pure. Se vogliamo anche la forma del viso, la statura, il portamento, il modo di camminare, di gesticolare, di ridere erano quelli ma non era pienamente sicuro che la donna che ballava da sola nella pista fosse sua ex moglie. Il tempo era passato. Quanti anni? Sette? Dieci? Oh Dio! Sembrava più giovane: era lei ma in più giovane!
“Balla?”
“Perché no?”
“Scusi ma io l’ho già incontrata?”
“Certo che mi hai già incontrata brutto stronzo che non sei altro!”
Beh, di certo il suo linguaggio è rimasto inalterato. Gli ritornarono in mente tutte le gustose espressioni del suo repertorio, tutte al di sotto della cintura. Una in particolare che sembrava adorare. Era una sorta di profezia-minaccia: “Un giorno mi bacerai il culo!” Ci puoi contare! Intanto ti ho scaricata.
“Scusa se te lo chiedo ma come fai a sembrare più giovane di quando stavamo assieme?”
“Lifting, scemo! Ho fatto il lifting. Che fai mi baci?”
“Il collo amore, il collo… Raccontami del tuo lifting…”
“Cosa vuoi sapere?”
“Tutto… Il tuo collo mi fa impazzire… Questo neo che non ti conoscevo...”
“Il lifting, ti tirano la pelle di qua e di là per eliminare il doppio mento, le rughe, insomma per nascondere le schifezze… Lo fanno su tutto il corpo, mica solo in faccia come si crede. Io mi sono fatto fare un lifting in pancia per eliminare quelle brutte pieghe che sai, poi un altro nella schiena, poi un altro qui per rialzare un po’ le tette.”
“Ah! Scusa ma non temi che a forza di tirare ti ritrovi la pelle del tuo collo nelle spalle o che quella delle spalle vada a finire sotto il mento. Scusami ma questo neo mi piace troppo… Io bacio…”
“ Bacialo pure. Comunque non è un neo che stai baciando: mi stai baciando il…”
“Balla?”
“Perché no?”
“Scusi ma io l’ho già incontrata?”
“Certo che mi hai già incontrata brutto stronzo che non sei altro!”
Beh, di certo il suo linguaggio è rimasto inalterato. Gli ritornarono in mente tutte le gustose espressioni del suo repertorio, tutte al di sotto della cintura. Una in particolare che sembrava adorare. Era una sorta di profezia-minaccia: “Un giorno mi bacerai il culo!” Ci puoi contare! Intanto ti ho scaricata.
“Scusa se te lo chiedo ma come fai a sembrare più giovane di quando stavamo assieme?”
“Lifting, scemo! Ho fatto il lifting. Che fai mi baci?”
“Il collo amore, il collo… Raccontami del tuo lifting…”
“Cosa vuoi sapere?”
“Tutto… Il tuo collo mi fa impazzire… Questo neo che non ti conoscevo...”
“Il lifting, ti tirano la pelle di qua e di là per eliminare il doppio mento, le rughe, insomma per nascondere le schifezze… Lo fanno su tutto il corpo, mica solo in faccia come si crede. Io mi sono fatto fare un lifting in pancia per eliminare quelle brutte pieghe che sai, poi un altro nella schiena, poi un altro qui per rialzare un po’ le tette.”
“Ah! Scusa ma non temi che a forza di tirare ti ritrovi la pelle del tuo collo nelle spalle o che quella delle spalle vada a finire sotto il mento. Scusami ma questo neo mi piace troppo… Io bacio…”
“ Bacialo pure. Comunque non è un neo che stai baciando: mi stai baciando il…”
35 regole per salvare la natura
1) Non buttare sigarette accese nei nidi: puoi uccidere una famiglia.
2) Non buttare bombe accese davanti ai cani, agli uccelli, ai gatti o all’erba innocente.
3) Non buttare bombe nelle fogne: potresti causare danni agli animali.
4) Non buttare sigarette o bombe nel recinto del parco: potresti uccidere oche o anatre.
5) Non buttare rifiuti accesi: potresti causare un incendio.
6) Non sparare agli animali.
7) Non fumare: gli animali respirano il tuo fumo. Pure gli adulti, i neonati e i bambini.
8) Non accendere fuochi nelle rose.
9) Non abbandonare bombe accese nella natura.
10) Non buttare gas sotto il letto.
11) Quando vedi una linea rossa non andarci: potresti morire.
12) Non toccare la corrente.
13) Non prendere le uova degli uccelli: è ucciderli.
14) Non incendiare i boschi.
15) Non uccidere gli alberi.
16) Non buttare il tuo telefonino: si potrebbe incendiare.
17) Non distruggere le ragnatele.
18) Non uccidere gli uomini.
19) Non lanciare libri infuocati per terra.
20) Non incendiare la tua camera.
21) Non uccidere le volpi.
22) Non picchiare gli uccellini piccoli.
23) Non fare fuochi grandi e non toccarli.
24) Non incendiare i computer.
25) Non buttare sigarette accese.
26) Non bruciare la terra: bruceresti anche l’erba.
27) Non strappare le piante.
28) Non lanciare sassi infuocati.
29) Non sparare agli scoiattoli.
30) Non regalare accendini ai neonati.
31) Non sparare al bosco: lo potresti distruggere.
32) Non incendiare i lavandini.
33) Non correre quando vedi un’oca: potresti farle male.
34) Non incendiare la tua casa.
35) Non buttare sigarette accese nei treni.
2) Non buttare bombe accese davanti ai cani, agli uccelli, ai gatti o all’erba innocente.
3) Non buttare bombe nelle fogne: potresti causare danni agli animali.
4) Non buttare sigarette o bombe nel recinto del parco: potresti uccidere oche o anatre.
5) Non buttare rifiuti accesi: potresti causare un incendio.
6) Non sparare agli animali.
7) Non fumare: gli animali respirano il tuo fumo. Pure gli adulti, i neonati e i bambini.
8) Non accendere fuochi nelle rose.
9) Non abbandonare bombe accese nella natura.
10) Non buttare gas sotto il letto.
11) Quando vedi una linea rossa non andarci: potresti morire.
12) Non toccare la corrente.
13) Non prendere le uova degli uccelli: è ucciderli.
14) Non incendiare i boschi.
15) Non uccidere gli alberi.
16) Non buttare il tuo telefonino: si potrebbe incendiare.
17) Non distruggere le ragnatele.
18) Non uccidere gli uomini.
19) Non lanciare libri infuocati per terra.
20) Non incendiare la tua camera.
21) Non uccidere le volpi.
22) Non picchiare gli uccellini piccoli.
23) Non fare fuochi grandi e non toccarli.
24) Non incendiare i computer.
25) Non buttare sigarette accese.
26) Non bruciare la terra: bruceresti anche l’erba.
27) Non strappare le piante.
28) Non lanciare sassi infuocati.
29) Non sparare agli scoiattoli.
30) Non regalare accendini ai neonati.
31) Non sparare al bosco: lo potresti distruggere.
32) Non incendiare i lavandini.
33) Non correre quando vedi un’oca: potresti farle male.
34) Non incendiare la tua casa.
35) Non buttare sigarette accese nei treni.
La via perduta
La via perduta la riconosci subito, anzi è lei che riconosce te. La gente, le case hanno qualcosa di familiare anche se sulle prime non sapresti dire che cosa. E poi c'è una musica nell'aria, un profumo che non sentivi da molto, un cuore che batte. E improvvisamente sbuca da una casa un cane, il tuo cane che ti fa le feste e ti lecca la mano.
L'uomo sfortunato
L’uomo sfortunato è basso di statura. Quando si sposa, se si sposa, trova una moglie più bassa di lui o, colmo di sfortuna, una molto più alta. L’uomo sfortunato non ha figli. Se ne ha ne ha uno soltanto e rassomiglia alla madre o, peggio ancora, al padre. L’uomo sfortunato vive in affitto in una casa piena di muffa e tutte le mattine per le scale deve pulire una pisciata di cane. L’uomo sfortunato ha la sfortuna di lavorare e il suo è sempre un lavoro di merda. L’uomo sfortunato ha la chierica a venticinque anni.
L’uomo sfortunato la domenica mangia pollo. All’uomo sfortunato non spetta mai il petto, l’ala o la coscia. All’uomo sfortunato spetta sempre il buco del culo.
L’uomo sfortunato la domenica mangia pollo. All’uomo sfortunato non spetta mai il petto, l’ala o la coscia. All’uomo sfortunato spetta sempre il buco del culo.
Da quando
Da quando, tre anni fa, mia moglie ha comprato il libro della Milena Esposito "Settemila modi di cucinare la pasta e fagioli in allegria", ho come l'impressione che i menù siano un po' monotoni a casa mia. Non che sia il tipo che ama sperimentare o esplorare, specialmente in cucina. Con la pasta e fagioli vado sul sicuro e so cosa mangio. Solo che penso che ogni tanto, senza esagerare però, bisogna variare anche perché non vorrei passare per uno che mangia sempre le stesse cose. Per domenica prossima una mezza idea ce l’avrei: un bel piatto di pasta e piselli! E’ da un pezzo che ci penso e devo solo decidere di lasciarmi tentare ma prendere delle decisioni così gravi non è semplice. Ho delle abitudini che non vorrei sconvolgere e necessito di tempo per adattarmi psicologicamente alla novità. Una pasta e piselli non si decide così su due piedi. Ti potrebbe anche fare male se non sei preparato alla cosa. L’anno scorso in un ristorante del molisano un uomo è morto vedendosi portare a tavola una pasta e piselli che non aveva ordinato. Allora, che faccio? Prendo il mio coraggio a due mani e mi aggiudico la pasta e piselli o devo aspettare ancora un po’? Non mi chiedete però di battere altre strade. Sinceramente non me la sentirei di affrontare una pasta e lenticchie o altro ora. Prometto però che dopo la pasta e piselli, magari per Natale o meglio ancora per capodanno con lo zampone, se dovessi spingermi oltre, un pensierino lo farò. Ci potete contare. D’altra parte una bella pasta e ceci non sfigurerebbe e forse neanche la pasta e zucca ma non bisogna chiedere troppo e tutto in una volta a questo povero uomo. Comunque mi dovete credere: io la buona volontà ce la metto tutta.
Dire che al Nord mangiano polenta tutti i giorni!
Dire che al Nord mangiano polenta tutti i giorni!
lunedì 3 agosto 2009
Il gatto del principe azzurro
- Chi sono io ?
- Lei è l’autista !
- “Le chauffeur”. Tu invece chi sei?
- Sono la tartaruga, “la tortue”.
- Sei la tartaruga mannara, “la tortue garou”. Le notti di luna piena, di “pleine lune”, ti trasformi in cane. Ma hai una fase intermedia di pochi secondi: prima di trasformarti in “chien” diventi Hulk. Tu invece?
- Io sono “le château”, il castello. Martina può essere il principe azzurro?
- Martina vuoi essere “il prince charmant du Château”? Bene, e tu chi vuoi essere? Ah, vuoi andare in bagno? Va bene, vai… Quella che miagola in fondo sarai “le chat”, sì, Lorenza sarai “le chat du prince charmant” Che fine ha fatto “le chat du prince charmant”?
- Si è nascosto, prof.
- Dove?
- Nel castello, ovvio…
- En français…
- « Dans le château du prince charmant. »
- « Le chat est dans le château du prince charmant ? » Allora ci vuole un topolino per farlo venire fuori… Paoletta, sei “la souris” e tu sarai…
- “La princesse”, prof.
- Ok. Come facciamo per catturare la “souris”?
- Bisogna dire tre volte "fromage", così: “fromage, fromage, fromage”. “Voilà la souris!”
- “Le chat”, cosa dici?
- “Et voilà le chat!”
- “Tortue”, intervieni!
- Ora sono Hulk: "je mange le chat”. Mi pappo pure « la souris ». Che buona « la souris » !
- Un attimo ragazzi che c’è il bidello!
- Il bidello è il Gobbo di Notre-Dame!
- Tu “prince charmant”, tanto per cominciare devi rispetto al “Bossu di Notre-Dame”. (al bidello) Non si offenda, devo scrivere “bossu” alla lavagna…
- (Il bidello) Professore, come si dice lo scemo del villaggio?
- “Le fou du village…” Perché?
- Per niente, una curiosità…
- Lei è l’autista !
- “Le chauffeur”. Tu invece chi sei?
- Sono la tartaruga, “la tortue”.
- Sei la tartaruga mannara, “la tortue garou”. Le notti di luna piena, di “pleine lune”, ti trasformi in cane. Ma hai una fase intermedia di pochi secondi: prima di trasformarti in “chien” diventi Hulk. Tu invece?
- Io sono “le château”, il castello. Martina può essere il principe azzurro?
- Martina vuoi essere “il prince charmant du Château”? Bene, e tu chi vuoi essere? Ah, vuoi andare in bagno? Va bene, vai… Quella che miagola in fondo sarai “le chat”, sì, Lorenza sarai “le chat du prince charmant” Che fine ha fatto “le chat du prince charmant”?
- Si è nascosto, prof.
- Dove?
- Nel castello, ovvio…
- En français…
- « Dans le château du prince charmant. »
- « Le chat est dans le château du prince charmant ? » Allora ci vuole un topolino per farlo venire fuori… Paoletta, sei “la souris” e tu sarai…
- “La princesse”, prof.
- Ok. Come facciamo per catturare la “souris”?
- Bisogna dire tre volte "fromage", così: “fromage, fromage, fromage”. “Voilà la souris!”
- “Le chat”, cosa dici?
- “Et voilà le chat!”
- “Tortue”, intervieni!
- Ora sono Hulk: "je mange le chat”. Mi pappo pure « la souris ». Che buona « la souris » !
- Un attimo ragazzi che c’è il bidello!
- Il bidello è il Gobbo di Notre-Dame!
- Tu “prince charmant”, tanto per cominciare devi rispetto al “Bossu di Notre-Dame”. (al bidello) Non si offenda, devo scrivere “bossu” alla lavagna…
- (Il bidello) Professore, come si dice lo scemo del villaggio?
- “Le fou du village…” Perché?
- Per niente, una curiosità…
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