domenica 14 dicembre 2008

Orologi


Ho conosciuto epoche in cui il tempo contava un po' meno di oggi. Quando chiedevi l’ora non ti davano mai una risposta precisa: erano “quasi le tre” o “le tre passate” e spettava a te immaginare quanti minuti mancassero o quanti fossero passati. Il tempo non aveva lo stesso valore per tutti. Mentre i vecchi la domenica infilavano nel taschino una cipolla che da anni non funzionava più i giovani mettevano fieramente degli orologi da polso a cui davano la corda prima di andare a letto e che al massimo sbagliavano di uno o due minuti al giorno. Era ben poca cosa perché la sera si potevano sincronizzare gli orologi all’ora esatta della TV. Noi, a Bastia, oltre ai canali francesi captavamo anche gli italiani attraverso un’antenna enorme puntata in direzione della Toscana. Prima del telegiornale eravamo tutti lì in attesa dei tre bip, del silenzio e dell’ultimo bip delle otto precise. Alle otto precise, migliaia, forse milioni di pollici pigiavano contemporaneamente su un rotellino. Poi gli indici spostavano le lancette degli orologi a cucù della foresta nera, quelli che non stavano mai zitti e a cui avresti voluto torcere il collo. Avevo un vicino di casa che era ossessionato dagli orologi. Ne aveva di tutti i tipi e in tutti i posti della casa. Quando entravi facevano un rumore assordante di pollaio. Come i una torre di Babele del tempo indicavano tutti un’ora discorde. Ma quando il campanile della chiesa di Saint Jean batteva le ore tutti questi piccoli meccanismi diabolici sembravano zittirsi per dare ascolto alla più autorevole ora di Dio. E poi c’erano i pendoli solitari che singhiozzavano in salone. Non si toccavano mai: si erano fermati un giorno smettendo di indicare l’ora dei vivi…

Nessun commento: