domenica 24 luglio 2011

Maritini


Mi sono sempre chiesto se fosse pericoloso svegliare i maritini addormentati in piedi dietro i loro carrelli mentre le mogli sono in giro per i reparti a fare la spesa. In un supermercato della mia città, quando questo accade, non li svegliano affatto. Semplicemente, all'inizio della corsia mettono un cartello d'avviso: "Si prega di parlare a bassa voce".
Al ritorno delle mogli, se i mariti dormono ancora, sostituiscono il carrello pieno con uno vuoto, gli mettono delle cuffie alle orecchie e li lasciano lì a fissare lungamente una scatola di fagioli o di mais Bonduelle. Alcuni, i più avvenenti, ovviamente dietro consenso delle mogli, sono delicatamente caricati su un muletto e portati, completi di carrello, nelle vetrine dove vengono vestiti con i capi del negozio stesso e usati come iperrealistici manichini. A Natale, ormai fa parte delle usanze, per la gioia dei bambini e di chi non sa rinunciare alle tradizioni, i maritini si trasformano in pastorelli, re magi e San Giuseppe e compongono un bellissimo presepe vivente dove i carrelli diventano asini, buoi, pecore e, ovviamente, mangiatoia.
 Quando è ora di chiusura, abbassano le serrande, lasciano accese alcune luci, e ci si vede il giorno dopo. La mattina seguente tornano le mogli, si presentano alla cassa con lo scontrino della spesa del giorno prima, e, come fossero i figli all’accoglienza della scuola elementare, se li ritirano.

giovedì 21 luglio 2011

Retromarcia


Avete presente le manovre per uscire da un parcheggio a spina di pesce? In teoria niente di più facile: si indietreggia un po’ e quando si è sicuri di non toccare le macchine di destra o di sinistra si sterza ed eccovi in linea con la strada. Nella pratica però le cose non si svolgono mai così. Siete entrati in macchina, avete acceso il motore, messo la retromarcia e non appena accennate a indietreggiare ecco che proprio dietro di voi si apposta una signora col pancione. La stessa donna col pancione che vi ha bloccato per un’ora il mese scorso. Aspettate che la signora si decida ad andarsene e, miracolo, lo fa. Pia illusione: le dà il cambio una mamma col passeggino. Seguono un tipo con la gamba ingessata, altre donne incinte, un’altra col passeggino, un bimbo in bici, delle famiglie intere in uscita domenicale anche se siamo di martedì, delle scolaresche, dei nonni, delle suore, dei frati, una processione, un funerale, dei girotondini, dei manifestanti che stanno decidendo se fare o no un sit-in proprio lì, intere comitive di turisti della terza età. Voi non vi siete ancora mossi di un millimetro e la folla continua ad affluire. Esasperati spegnete il motore e scendete di macchina. Più in là c’è la fermata del pullman. Lo prendete. Per la decima volta consecutiva, lo prendete.
Il giorno dopo comprate il quotidiano locale. Cercate la pagina della vostra città. La trovate. Finalmente le cifre ufficiali. C’è scritto: “Retromarcia di Piazza Mannu: 50.000 secondo i sindacati, 2.000 secondo la questura.”

mercoledì 13 luglio 2011

Transformation


Espletate le formalità doganali, eccoci finalmente in aereo. Si sistemano i bagagli, si raggiunge il proprio posto e una volta seduti ci si lascia cullare da una dolce pluralità di voci. I genitori chiamano i figli, i figli i genitori, qualcuno chiede se il posto vicino al vostro è libero, uno ride, uno piange, uno impreca, uno parla più forte che non ti sento, un altro quanto tempo dura il viaggio, a che ora arriviamo o lo vuoi un biscottino. Il tutto nella vostra lingua, col vostro stesso accento e i vostri gesti. Si direbbe una numerosa delegazione o una piccola invasione barbarica. Solo le hostess si ostinano a parlare in inglese.
Si parte. I vicini parlano con i vicini, ci si scambiano dei consigli, dei trucchi, si impara un kit di sopravvivenza linguistica last minute: “How much”, “Mind the gap”, “Keep on the right” e “Way out”. E poi ognuno per conto suo. La signora davanti guarda estasiata dal suo finestrino, la persona con cui conversavi poco prima è sprofondata nel sonno, il vecchietto del primo posto sta russando. Si spengono voci, accenti, inflessioni e dialetti. Fuori le nuvole rassicuranti, dentro le hostess che chiedono “Any rubbish?”
A poco a poco il risveglio. “What time is it?, “keep your belt fasten”, "Ladies and gentlemen..." I bambini improvvisamente si chiamano John, jack, Jane o Mary. Le parole non hanno più la musica e il ritmo di prima. Ma come? Dov’è finita la ricetta del pesto alla genovese? Dov'è finito Totti? Parlatemi ancora di Berlusconi e del ponte di Messina. Voglio sentire la mia lingua…
Col cavolo che la sento! La delegazione o gli invasori di prima sono ora dei perfetti londinesi. Chi è dello Strand, chi del Chelsea, chi del Kensington. In ansia per quanto ti sta per accadere, recuperi i bagagli, ripassi la dogana e ti ritrovi solo che non capisci una cippa. Ad un tratto la salvezza: vedi uno che ha viaggiato con te. E’ della tua città. Ti sbrighi per raggiungerlo ma è già stato inghiottito dalla folla.

martedì 5 luglio 2011

La mia iniziazione

La parola “iniziazione” è una di quelle che mettono paura e io una certa paura ce l’ho. Non per cose serie, questo no, ma piuttosto per delle piccole inezie che comportano delle grandi responsabilità.
Io rispetto ai miei suoceri, sono quello che nei giornaletti del capitan Miki avrebbero definito un “gringo” nel senso che loro sono napoletani e io no. Quando durante le ferie mi capita di essere ospitato a casa loro avvengono delle cose curiose che vi voglio raccontare. Tutte le mattine, appena alzato, sono solito prepararmi il caffè. A casa mia però. Lì, invece, quando mi alzo mi accorgo che i miei suoceri mi hanno preceduto da un pezzo. Sento nell’aria un celestiale profumo di caffè che proviene dalla cucina la cui porta rimane chiusa. Ora, è proprio questo il problema: quando preparano il caffè chiudono sempre la porta. Me ne sto alcuni minuti ad aspettare in sala che il rito si compia fino a quando la porta non si apre e mi servono in una tazzina quello che chiamano con deferenza mista a meraviglia “O’ cafè”. Apparentemente non ci sono misteri: sul fornello spento la solita moka tre tazze e niente più. Ma sono più che sicuro che quando la porta si apre ogni indizio sia stato rimosso.
Credo tuttavia di essere in qualche modo fortunato. Mi spiego. Al piano di sotto c’è un gringo che come me subisce l’allontanamento dalla fucina del mistero. Addirittura aspetta sul pianerottolo che tutto sia pronto. L'altro giorno, vedendolo per l'ennesima volta seduto sulle scale, sconsolato, mi sono fatto coraggio e gli ho rivolto la parola. Mi ha raccontato di uno che aspetta in macchina e di un altro che viene sistematicamente bendato. Io che rimango davanti alla cucina, mi ha detto, è raro e vuol dire solo una cosa: che si fidano e che un bel giorno avrò il diritto di entrarvi perché si avvicina per me il giorno della grande iniziazione e mi devo preparare.
Non avevo mai considerato la cosa in quest'ottica. Voi cosa pensate che mi succederà?