domenica 28 agosto 2011

Citazione





"Le donne che tirano fuori gli artigli cambiano più spesso le lenzuola"

Charles Baudelaire

domenica 21 agosto 2011

Se mettessero...







"Se mettessero tutti i chili persi dai miei clienti in un transatlantico, affonderebbe."

La mia dietologa

venerdì 12 agosto 2011

Pirati

Il Black Hawk aveva gettato l’àncora in una piccola insenatura dell’Isla Caiman come in attesa dell’ennesima nave da rapinare. Era un brick veloce, maneggevole, 54 cannoni, fatto per l’inseguimento, l’abbordaggio e l’affondamento delle sue prede. Il nome del suo comandante, Joe Blood, sapeva di salsedine e di sangue ed era perciò tra i più temuti del Mare dei Caraibi. Aveva al suo attivo una cinquantina di abbordaggi, tredici dei quali a navi della flotta di sua maestà reale d’Inghilterra e cinque a bastimenti della marina militare francese. Gli davano così la caccia  sia le potenti navi da guerra inglesi che le francesi per non parlare dei corsari assoldati dalle due nazioni nemiche, ma a ogni scontro ne usciva vittorioso e con pochi danni: l’albero d’artimone spezzato, la vela di mezzana ridotta a uno straccio, una falla da tappare, una decina di morti, niente che non si potesse riparare o rimpiazzare.
Ora era disteso, dolorante ma in gran parte incosciente, su quello che si temeva diventasse il suo letto di morte.
Il medico di bordo, un po’ meno sbronzo del suo solito, uscì dalla camera chiudendo rumorosamente la porta dietro di lui quando si sentì fare la fatidica domanda.
“E allora, come sta quella carogna, dottore?” La voce aspra proveniva da un angolo oscuro della stanza, dietro il denso fumo di un sigaro cubano. Il medico di bordo riconobbe la bandana rossa e la benda nera sull’occhio sinistro. Tutt’intorno, come nella camera, la parte di bottino spettante al comandante, pari a due volte quella di ogni singolo membro dell’equipaggio così come prevedeva il codice della pirateria: piccole casse piene di monete e gioielli, armi di alta fattura, tra cui coltelli, spade, archibugi, appartenute a prestigiosi nemici,  gabbie e trespoli per variopinti uccelli esotici per i quali Blood nutriva una forte passione, in particolare modo per i pappagalli, tappeti, veli, tessuti pregiati, barili di olio sottratte alle baleniere del re che non avevano trovato posto nella stiva, oggetti che testimoniavano della costante esposizione al pericolo e alla morte del comandante e del suo equipaggio.
“Mi rincresce parlare in questi termini ma devo dire le cose come stanno…”
“Sputa il rospo, dottore.“
“Il comandante si trova più di là che di qua e solo un miracolo potrebbe salvarlo. Le sue ferite sono molto profonde ma non sono solo quelle.”
“C'è dell'altro?”
“Forse è tempo che il comandante si dia una calmata. E' vecchio e ammalato... Ha abusato del vino e del rum delle peggiori cantine, troppe orge…”
“Sarà… Può fare qualcosa per lui?”
“Poco e niente. Se supera la notte sarà lui a fare qualcosa per se stesso. Dovrà ammainare la bandiera nera, scegliersi un buon porto, restarci e soprattutto condurre una vita più frugale.”
Il medico di bordo si alzò e si apprestava a lasciare la stanza. Nel mentre, il pappagallo, pensoso, risalì sul suo trespolo, diede un’ennesima tirata al suo sigaro cubano e mormorò: “Lui in un porto? Ma non mi faccia ridere, dottore…”

giovedì 11 agosto 2011

Uomini anonimi

Gli uomini che decidono un bel giorno di radersi completamente i capelli credendo di risolvere definitivamente i problemi di un’incombente calvizie non sanno quel che fanno. E’ vero, spariranno per sempre baie di Hudson e circhi di Gavarnie  ma i problemi creati da quell’irresponsabile gesto saranno ben maggiori di quelli risolti. Questi uomini non pensano alle mille difficoltà della gente attorno a cominciare dalle mogli. Perché?
Perché diventano tutti uguali. Avete mai messo dieci teste rasate una vicina all’altra? Impossibile distinguerle. Un pelato rassomiglia a un altro pelato come un uovo a un altro uovo. Sì, si può sempre chiamarli per nome ma quando una moglie in una piazza affollata chiama “Mario!” e sono in dieci a rispondere che fa? Unica soluzione: marcare il proprio marito a uomo, oppure optare, come fanno in tante, per il nastrino rosso al polso, o per il blu, o obbligare il marito a portare sempre con sé il telefonino ma quando questo squilla, puntualmente, squillano pure quelli degli altri… Senza considerare che la maggior parte degli uomini non sopportano di essere marchiati in tal modo e eliminano, perfidi, ogni segno distintivo per tuffarsi nelle incommensurabili gioie del più totale anonimato. Che pagano.
L’anno scorso, su una spiaggia affollata della Costa Smeralda, una signora aveva deciso di farsi il bagno da sola pensando che al ritorno avrebbe riconosciuto il consorte dal nastrino e dal telo sul quale era sdraiato. Malauguratamente, la corrente la trascinò diversi metri più a destra senza che se ne rendesse conto. Quando tornò sulla spiaggia guardò l’uomo davanti a lei: nastrino, telo di mare, tutto coincideva… Tutto tranne una cosetta. Ma non ci fece troppo caso…

giovedì 4 agosto 2011

La folle corsa della mattina




Che ora è? Non è possibile! Sveglia! Tutti in piedi! Calma, prima mi preparo un buon caffè. Ok, va bene, il latte per i bambini, i cornflakes. Il bagno. Prima io! Sbrigati!. Intanto papà vi stira la camicia e il grembiule, i pantaloni te li stiri tu! Si può andare in bagno? Velocemente barba e tutto il resto. Vestirsi. E’ possibile che non abbia dei calzini da mettermi? Guarda bene nel comodino! Ma guardami questo che si è messo le scarpe a rovescio! Le chiavi di casa dove sono? Questa volta ti sei superata: riuscirà quest'uomo a trovare le chiavi di casa prima di uscire? E quelle della macchina? Ma se ho guardato venti volte sul tavolo! Ah! Avevi ragione, erano lì! Sbrigatevi! No! Ma devi sempre fare la pipì quando stiamo uscendo? Lo zaino, non dimenticatevi lo zaino! Oggi c’è traffico sulla strada… Bravi bambini studiate e fatele nere le vostre maestre...
Alle undici, in ufficio, pausa caffè-bagno. Solo allora mi accorgo di essermi messo le mutande di mia moglie.

lunedì 1 agosto 2011

Ma...


Vedete, quando si tratta di entrare in acqua, al mare, sono tutto tranne che un leone. Non sono e non sono mai stato, neanche nella mia più agitata adolescenza, uno di quei tuffatori impavidi che si buttano tutto in una volta. Al contrario. Prima immergo i piedi, poi piano piano le caviglie, quindi, avanzando piano piano, arrivo sino alle ginocchia e così via fino alla totale e sofferta immersione che inevitabilmente corrisponde col tramonto. La filosofia che sta dietro questo comportamento, che peraltro mi sembra piuttosto diffuso tra i miei coetanei, è antitetica alla cosiddetta full immersion e si basa principalmente sulla teoria del progressivo adattamento del corpo alla temperatura esterna. Quello che ho tuttavia notato, correggetemi se sbaglio, è che se la parte immersa si adatta al freddo dell'acqua per quella che rimane ancora fuori non è così. Anzi, direi che immergere le parti rimanenti è sempre più difficile, e in una proporzione tale da farmi ritenere che una stessa quantità di dolore si concentri su una superficie ogni volta più piccola. Sarebbe interessante a questo proposito elaborare una funzione matematica o un qualche algoritmo che ci traduca l’esatta misura di aumento del dolore e la renda comprensibile a chiunque spiegandoci una volta per tutte perché mettere la testa sotto acqua è molto più arduo che per i piedi. Da qui la mia domanda: ma… la quantità di dolore è costante nell’universo?