domenica 30 ottobre 2011

Parole militanti


Non sapevo che potessi arrivare a tanto, io che aprivo bocca stando attento alle parole che ne uscivano, io che le controllavo ad una ad una come le maestre di un tempo controllavano scrupolosamente le mani e le unghie dei loro alunni. E se una di loro mi sembrava sospetta, per la vaga assonanza o la possibile sovrapposizione di significati con una di quelle parole che la buona educazione repudia, non potendo cancellarla dalla mia mente, la toglievo di peso dalla frase, la mettevo in un angolo e la lasciavo in castigo come si faceva con i bambini monelli.
Ora queste parole me le ritrovo in prima linea a combattere i principi stessi che animavano il mio discorrere. Sorde a ogni richiamo sono diventate indomabili e sfuggono completamente al mio controllo. Mi sentiste! Sono parolacce, turpiloqui e oscenità. Non proferisco una frase senza offendere con tutta la volgarità di cui sono capace, non c’è una parola che non sia scurrile, indecente o scandalosa. E sentiste come le dico! Non tra i denti, timidamente e senza convinzione: sono declamate, coraggiose, militanti. Se le parole avessero dei piedi le mie indosserebbero gli scarponi dei militari.
Tutto è cominciato quella volta in cui chinandomi leggermente per compiere qualche operazione che ho ormai dimenticato, non ricordandomi di aver messo il cellulare nel taschino della camicia, questo mi è caduto nel water. Nonostante fui pronto a recuperarlo – non erano passati più di tre secondi – l’acqua era penetrata in tutti i suoi meccanismi interni rendendolo inservibile, a meno che… a meno che lo immergessi immediatamente nel riso e aspettassi il miracolo. Ci fu. Il riso aveva assorbito tutta l’umidità e mi permise di  parlare col mio vecchio telefonino come facevo prima. Non esattamente…
Voi credete che l’avere recuperato il mio cellulare dal cesso possa avere modificato in qualche modo l’argomento delle mie conversazioni?

giovedì 27 ottobre 2011






Ti tengu cara


Stammi vicinu ùn ti n'andà ti tengu cara
Soca nun senti cum'ellu trema lu me core
Da parechji anni si per me la perla rara
S'avessi à vive senza à tè, bramu di more

E nostre case sò di punta à la sulana
Luce lu to purtellu à lu spuntà di u sole
So ch'è tu l'apri à lu sunà di la campana
Capelli sciolti cum'è le donne in le fole

Ùn possu rispirà l'aria che tu respiri
Senza trimà di passione quandu u ventu
Carcu di basgi, di canzone è di suspiri
Porta dinù lu to odore è ch'eo lu sentu.

Si fresca è pura quant'è l'alba appena nata
U rusulaghju si, fiuritu à tutte l'ore
Dammi la rosa, la più bella a più bramata
Quella chi nasce è chi fiurisce in lu to core.

T'aghju dettu una sera è incu l'angoscia in golla
Eramu soli à la funtana, era veranu
Chi lu mio core sdrughje cum'è mele in golla
Quand'è tu pigli la mio manu in la to manu

Stringhji la forte è tramindui in piena luce
Richi di tempu è di sperenza di a natura
Uniti pigliaremu a strada chi cunduce
Versu li ghjorni calmi è di gioie sicure. 

lunedì 3 ottobre 2011

Feudalesimo




Nel mondo feudale c’erano i vassalli, i valvassori e i valvassini ma a corte di Eleonora d’Arborea c’erano i vassalli, i vassoi e tanti pabassini.