domenica 9 dicembre 2007

Un racconto per il mio cane

Vorrei dedicare al mio cane le più belle delle mie righe, usare per una volta i suoi lamenti e, perché no, le sue parole, dirgli il mio racconto come si da un osso avvolto di cartilagine e pieno di midollo. Un osso non basta a farlo tornare, lo so, così come non bastano le mie ricerche, le mie perlustrazioni, così come sono vani i miei appelli notturni per le vie della mia triste città. Vorrei raccontare la storia di un cane che, come era capitato a qualcuno un tempo, si è innamorato. Il padrone, come me, non voleva farlo uscire. Non che fosse spietato e particolarmente crudele. Un eccesso di prudenza forse. Oggi le strade non sono sicure come una volta. Si rendeva perfettamente conto che lì, a pochi isolati di distanza, c’era la sua lei, forse un po’ troppo grande per lui, ma una lei carina con un ciuffetto, degli occhi… Niente da fare. Gli esseri umani non sanno più capire queste cose. Hanno dimenticato che, quando ancora erano giovani, passavano nel parco non per fare riposare della ossa stanche come fa qualcuno oggi, ma nella speranza del suo sorriso e magari di sedersi sul suo stesso banco con la scusa che non ricordavano quali esercizi aveva assegnato il prof di matematica. Gli uomini dimenticano facilmente. Non sono veramente malvagi. Quello che manca loro è la memoria. Cavolo, ma perché non le scrivono le cose? Perché non se le segnano da qualche parte e le rileggono quando il loro cuore si è un po’ indurito? Il mio racconto dovrà finire con queste parole: perdonami, amico mio, avevo dimenticato.

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