domenica 23 agosto 2009

Una storia velenosa


Voi, il potere della folla inferocita non lo conoscete e vi auguro di tutto cuore di non conoscerlo, come è recentemente capitato a me. La mia triste esperienza ha avuto luogo in un villaggio vacanze della Costa Smeralda dove mi reco ogni anno a ferragosto con la mia famiglia. Partecipo solitamente nella e intorno alla piscina principale – l’altra è la relax – alle varie attività proposte dallo staff d’animazione durante le cosiddette ferragostiadi o giochi di ferragosto. Inizialmente, ho una certa difficoltà a vincere le inibizioni accumulate durante un intero anno di lavoro nella civiltà ma, a poco a poco, riesco a lasciarmi andare per non dire abbandonarmi. Non è affatto semplice assistere, per esempio, a “miss maglietta bagnata” e cantare insieme al coro maschile “Oh le le, oh la la, faccela vedè, faccela tocca!” oppure essere stonati come una casseruola e dover esibirsi in un pietoso karaoke davanti a un pubblico ilare. Sono un tipo riservato e piuttosto pudico - lo avete capito che certe cose non sono da me - eppure, come per incanto, quando sono più che certo di indossare il mio caro costume da bagno lungo sino alle ginocchia e con effetto paracadute nei tufi, mi ritrovo, magia delle magie, in tanga. Sì, avete letto bene, in tanga completo di filo interdentale tra due guanciali. Ed eccomi pronto a prendere parte a “balena bianca” in piscina! Oltre ad essere involontariamente indecente mi capita di fare delle cose che mai e poi mai mi verrebbe in mente di fare nel mondo reale, come quando, improvvisamente, passa il trenino. L’ho sempre odiato, il trenino e quella canzone che fa Brigitte Bardot Bardot… Indovinate… Quest’anno il capotreno ero io… Ciao ciao con la manina!

Tanga, balena bianca, oh le le oh la la, trenino, faccia felice, da scemo … Il massimo della mortificazione, direte. Dovete sapere che non appena mi comprometto sbucano da chissà dove i microfoni e le telecamere di Rai 3 a farmi la tradizionale intervista e a proporre ai carissimi telespettatori le mie ormai famosissime chiappe. E non c’è modo di rifiutare: quelli ti stanno attaccati come le vespe! Finché non ti rovinano la reputazione davanti al paese intero non ti danno tregua. E’ così ogni anno, sistematicamente, come una condanna, una pena da scontare. E non chiedetemi perché.

Quest’anno è stato traumatico. Ringrazio solo Iddio che i miei erano andati a dormire e non hanno assistito alla mia umiliazione. Avete presente il vizio degli animatori – li possa rincorrere santo Pantaleo! – che a tradimento chiamano uno del pubblico? Ma sì, lei, non faccia il difficile! Un applauso per… Indovinate a chi è toccato? Sì, a me, anche in quell’occasione sicurissimo di essere finalmente riuscito a mettere il mio costume gigante, quello che visto sott’acqua mi fa sembrare una medusa… Ma sotto i proiettori ero in tanga, più impacciato che mai. Dovevo fare un’imitazione ma mi rivelai così goffo che dovetti rincominciare più volte perché il pubblico non capiva. Ero talmente imbambolato che probabilmente ero io a non avere capito che il gioco era un altro. Un imbecille ha cominciato a scandire: “Nudo! Nudo! Nudo!” E la folla in una sola voce: “Nudo! Nudo! Nudo!” E io: nudo. E tutte che me lo guardavano, e tutte che ululavano… e io, lì, in mezzo, ero un pomodoro. Ma alla fine, quando tutti gli occhi si erano rifatti una salute, quando anche i ciechi vedevano, alla fine venne l’applauso. Fu lungo, intenso, caloroso e, soprattutto, riconoscente.
E sbucarono dalla notte i microfoni e le telecamere di Rai 3. Grazie, grazie davvero… Mostriamolo pure al mondo intero… Ma il veleno in tutto questo? Tutto quello che so è che quando arrivo ne sono saturo, imbevuto come può esserlo un babà. Sempre. Quando vado via, invece, ne ho molto meno e ho qualche speranza di sopravvivenza in più.

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